lunedì 14 marzo 2016

Il pianoforte Forte Piano

IL PIANOFORTE FORTE PIANO
-Racconto scritto in collaborazione con Sofia Muraca-



C’era una volta un pianoforte che si chiamava Forte Piano e viveva nell’aula magna di una grande scuola. Desiderava tanto farsi degli amici, ma non sapeva come fare;  ogni volta che qualcuno si avvicinava, lui sentiva una grande emozione scoppiargli nel petto e iniziava a pigiare i suoi tasti con forza per attirare la sua attenzione. Ne usciva una musica stonata ed acuta che faceva scappare lontano la persona che si era avvicinata. Il pianoforte si sentiva tanto solo e iniziava allora a suonare una melodia triste, che aveva un volume talmente basso che nessuno riusciva a sentire. C’erano dei momenti in cui suonava troppo forte e altri in cui suonava troppo piano. Insomma non era mai adeguato alla situazione e si sentiva sempre più solo.
«Non riuscirò mai a farmi degli amici. Non valgo niente. Che cosa serve un pianoforte che non sa suonare? A niente! Ecco a che cosa serve» diceva tra sé e sé.
Il pianoforte Forte Piano divenne sempre più taciturno e alla fine smise di suonare del tutto e si richiuse nel suo silenzio.
Tutti pensavano che il pianoforte fosse rotto e lo spostarono in un ripostiglio e nessuno si ricordò più di lui.
Un giorno entrò nel ripostiglio un bambino e si accucciò ai piedi del pianoforte, nascondendo la sua testa tra le ginocchia. Aveva uno sguardo triste e il pianoforte Forte Piano iniziò ad osservarlo senza dire niente. Ad un certo punto suonò la campanella che indicava la fine dell’intervallo e lui si alzò, si sforzò di sorridere e se ne andò via. Il pianoforte rimase perplesso e nella sua mente si chiese perché quel bambino si era venuto a nascondere in quell’angusto ripostiglio. Il giorno dopo il bambino ritornò e anche quello successivo e quello dopo ancora. Ogni volta che usciva dal ripostiglio si sforzava di sorridere e ogni volta il suo sorriso sembrava sempre più triste.
Un giorno il pianoforte Forte Piano si fece coraggio e iniziò a pigiare sui suoi tasti con delicatezza, facendo attenzione a non spaventarlo. Né uscì una musica lieve e dolce. Il bambino alzò la testa e con gli occhi pieni di lacrime iniziò ad osservare il pianoforte. Con la manica della maglia si asciugò le lacrime e suoi occhi iniziarono a scrutarlo con attenzione.
«Ciao! Ma tu chi sei?» disse il bambino con un filo di voce.
«Ciao! Io sono un pianoforte e mi chiamo Forte Piano. Mi hanno messo qua perché i miei tasti non funzionano bene.»
«Io sono Michael e non penso che tu sia rotto. La musica di prima era bellissima. Forse hai solo bisogno di esercitarti per imparare a suonare.»
Il pianoforte allargò i suoi grandi occhi e sospirò. Avrebbe voluto credere con tutte le sue forze alle parole del bambino, ma ormai si era convinto di non valere niente e cambiare opinione su se stesso era difficile ormai.
«Perché durante l’intervallo ti nascondi qui?» chiese il pianoforte al bambino.
Il bambino tirò su la testa di scatto e osservò il pianoforte con i suoi grandi occhi verdi:
«Qui posso essere triste e non devo fingere. Mi sono trasferito da poco in questa scuola e non ho amici. Mentre ci sono le lezioni è più facile far finta di sorridere, ma durante l’intervallo i professori si  accorgerebbero che sono solo e andrebbero subito a riferirlo a mio padre. Non voglio che si preoccupi per me. Da quando è morta la mamma ha già tanti pensieri. Non voglio dargli anche questo fardello. Allora durante l’intervallo vengo qua e mi nascondo.»
I due rimasero in silenzio, uno di fronte all’altro. Il pianoforte, senza rendersene conto, iniziò a suonare una musica dolce; Michael chiuse gli occhi e iniziò a viaggiare nella sua mente: si vide correre spensierato in un prato, sentì intorno a sé un dolce profumo di camomilla e immaginò di coricarsi nell’erba, inebriato da una sensazione di benessere che invadeva tutti i suoi sensi. Un sorriso involontario colorò il suo volto e il pianoforte lo vide allontanarsi più sereno:
«Domani tornerò a trovarti!»
Il pianoforte annuì e sorrise: forse aveva trovato un amico.
Il bambino ritornò da lui ogni giorno e il suo umore iniziò via via a cambiare. Il pianoforte sentendosi accettato per quello che era, non si preoccupava di quello che poteva suonare. Semplicemente si lasciava andare e osservava il bambino animarsi al suono delle sue note. La musica divenne sempre più allegra e gioiosa e spesso il bambino si alzava felice e iniziava a saltellare per la stanza, seguendo il ritmo delle note.
Il pianoforte Forte Piano non si preoccupò più del volume della sua musica e un giorno accadde che suonò così forte che la musica invase tutti i corridoi della scuola. Bambini e insegnanti si fermarono ad ascoltarla, rapiti dalla sua bellezza.  Il bidello si ricordò del pianoforte che era stato messo nel ripostiglio, si avvicinò alla porta e si rese conto che la musica proveniva proprio da quello strumento; aprì la porta e rimase immobile ad osservare il pianoforte e il bambino che ridevano insieme, totalmente presi dalla loro musica. Tutti gli altri bambini e gli insegnanti si avvicinarono per osservare la scena e rimasero estasiati da quello che sentirono. Quando la musica terminò, un grande applauso scoppiò spontaneo e il pianoforte e il bambino si voltarono di scatto, rendendosi conto che non erano soli. I compagni di Michael si avvicinarono a lui e lo abbracciarono, facendogli i complimenti. Lo trascinarono in cortile e pretesero che giocasse con ognuno di loro. Michael li accontentò tutti e iniziò a correre nel cortile, gioendo nel suo cuore di quella inattesa popolarità. Il bidello riportò il pianoforte di nuovo nell'aula magna e ogni giorno nell'intervallo i bambini lo andavano a trovare, felici di ballare al suono della sua musica.
Trascorse una settimana e Michael iniziò a sentire la mancanza del suo amico Forte Piano. Chiese alla maestra di uscire durante la lezione di matematica e corse da lui, felice di poterlo riabbracciare. Quando i due si ritrovarono uno di fronte all'altro, i loro sguardi si illuminarono. Avevano vissuto entrambi una settimana molto intensa ma erano felici di potersi riposare l’uno negli occhi dell’altro.

Alla fine,  in un angusto ripostiglio, avevano scoperto il segreto più grande: per farsi degli amici bisogna trovare il coraggio di mostrarsi come uno è davvero. Non serve fingere e mettersi sul viso delle maschere, basta essere se stessi e poi il resto viene da sé. A volte uno si convince di non valere niente e, quando ciò succede, diventa difficile cambiare opinione sulla propria persona. Un amico vero ci accetta così come siamo e sarà attraverso i suoi occhi che impareremo ad amarci un po’ di più. A volte per imparare a credere in noi stessi abbiamo solo bisogno di qualcuno che ci faccia da specchio e che ci insegni ad apprezzarci e ad accettarci così come siamo. A volte basta solo trovare un amico.

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