IL PIANOFORTE FORTE PIANO
-Racconto scritto in collaborazione con Sofia Muraca-
C’era
una volta un pianoforte che si chiamava Forte Piano e viveva nell’aula magna di
una grande scuola. Desiderava tanto farsi degli amici, ma non sapeva come
fare; ogni volta che qualcuno si
avvicinava, lui sentiva una grande emozione scoppiargli nel petto e iniziava a
pigiare i suoi tasti con forza per attirare la sua attenzione. Ne usciva una
musica stonata ed acuta che faceva scappare lontano la persona che si era
avvicinata. Il pianoforte si sentiva tanto solo e iniziava allora a suonare una
melodia triste, che aveva un volume talmente basso che nessuno riusciva a
sentire. C’erano dei momenti in cui suonava troppo forte e altri in cui suonava
troppo piano. Insomma non era mai adeguato alla situazione e si sentiva sempre
più solo.
«Non
riuscirò mai a farmi degli amici. Non valgo niente. Che cosa serve un pianoforte
che non sa suonare? A niente! Ecco a che cosa serve» diceva tra sé e sé.
Il
pianoforte Forte Piano divenne sempre più taciturno e alla fine smise di
suonare del tutto e si richiuse nel suo silenzio.
Tutti
pensavano che il pianoforte fosse rotto e lo spostarono in un ripostiglio e
nessuno si ricordò più di lui.
Un
giorno entrò nel ripostiglio un bambino e si accucciò ai piedi del pianoforte,
nascondendo la sua testa tra le ginocchia. Aveva uno sguardo triste e il
pianoforte Forte Piano iniziò ad osservarlo senza dire niente. Ad un certo
punto suonò la campanella che indicava la fine dell’intervallo e lui si alzò,
si sforzò di sorridere e se ne andò via. Il pianoforte rimase perplesso e nella
sua mente si chiese perché quel bambino si era venuto a nascondere in
quell’angusto ripostiglio. Il giorno dopo il bambino ritornò e anche quello
successivo e quello dopo ancora. Ogni volta che usciva dal ripostiglio si
sforzava di sorridere e ogni volta il suo sorriso sembrava sempre più triste.
Un
giorno il pianoforte Forte Piano si fece coraggio e iniziò a pigiare sui suoi
tasti con delicatezza, facendo attenzione a non spaventarlo. Né uscì una musica
lieve e dolce. Il bambino alzò la testa e con gli occhi pieni di lacrime iniziò
ad osservare il pianoforte. Con la manica della maglia si asciugò le lacrime e
suoi occhi iniziarono a scrutarlo con attenzione.
«Ciao!
Ma tu chi sei?» disse il bambino con un filo di voce.
«Ciao!
Io sono un pianoforte e mi chiamo Forte Piano. Mi hanno messo qua perché i miei
tasti non funzionano bene.»
«Io
sono Michael e non penso che tu sia rotto. La musica di prima era bellissima.
Forse hai solo bisogno di esercitarti per imparare a suonare.»
Il
pianoforte allargò i suoi grandi occhi e sospirò. Avrebbe voluto credere con
tutte le sue forze alle parole del bambino, ma ormai si era convinto di non
valere niente e cambiare opinione su se stesso era difficile ormai.
«Perché
durante l’intervallo ti nascondi qui?» chiese il pianoforte al bambino.
Il
bambino tirò su la testa di scatto e osservò il pianoforte con i suoi grandi
occhi verdi:
«Qui
posso essere triste e non devo fingere. Mi sono trasferito da poco in questa
scuola e non ho amici. Mentre ci sono le lezioni è più facile far finta di
sorridere, ma durante l’intervallo i professori si accorgerebbero che sono solo e andrebbero
subito a riferirlo a mio padre. Non voglio che si preoccupi per me. Da quando è
morta la mamma ha già tanti pensieri. Non voglio dargli anche questo fardello.
Allora durante l’intervallo vengo qua e mi nascondo.»
I due
rimasero in silenzio, uno di fronte all’altro. Il pianoforte, senza rendersene
conto, iniziò a suonare una musica dolce; Michael chiuse gli occhi e iniziò a
viaggiare nella sua mente: si vide correre spensierato in un prato, sentì
intorno a sé un dolce profumo di camomilla e immaginò di coricarsi nell’erba,
inebriato da una sensazione di benessere che invadeva tutti i suoi sensi. Un
sorriso involontario colorò il suo volto e il pianoforte lo vide allontanarsi
più sereno:
«Domani
tornerò a trovarti!»
Il pianoforte
annuì e sorrise: forse aveva trovato un amico.
Il
bambino ritornò da lui ogni giorno e il suo umore iniziò via via a cambiare. Il
pianoforte sentendosi accettato per quello che era, non si preoccupava di
quello che poteva suonare. Semplicemente si lasciava andare e osservava il
bambino animarsi al suono delle sue note. La musica divenne sempre più allegra
e gioiosa e spesso il bambino si alzava felice e iniziava a saltellare per la
stanza, seguendo il ritmo delle note.
Il
pianoforte Forte Piano non si preoccupò più del volume della sua musica e un
giorno accadde che suonò così forte che la musica invase tutti i corridoi della
scuola. Bambini e insegnanti si fermarono ad ascoltarla, rapiti dalla sua
bellezza. Il bidello si ricordò del
pianoforte che era stato messo nel ripostiglio, si avvicinò alla porta e si
rese conto che la musica proveniva proprio da quello strumento; aprì la porta e
rimase immobile ad osservare il pianoforte e il bambino che ridevano insieme,
totalmente presi dalla loro musica. Tutti gli altri bambini e gli insegnanti si
avvicinarono per osservare la scena e rimasero estasiati da quello che
sentirono. Quando la musica terminò, un grande applauso scoppiò spontaneo e il
pianoforte e il bambino si voltarono di scatto, rendendosi conto che non erano
soli. I compagni di Michael si avvicinarono a lui e lo abbracciarono,
facendogli i complimenti. Lo trascinarono in cortile e pretesero che giocasse
con ognuno di loro. Michael li accontentò tutti e iniziò a correre nel cortile,
gioendo nel suo cuore di quella inattesa popolarità. Il bidello riportò il
pianoforte di nuovo nell'aula magna e ogni giorno nell'intervallo i bambini lo
andavano a trovare, felici di ballare al suono della sua musica.
Trascorse
una settimana e Michael iniziò a sentire la mancanza del suo amico Forte Piano.
Chiese alla maestra di uscire durante la lezione di matematica e corse da lui,
felice di poterlo riabbracciare. Quando i due si ritrovarono uno di fronte all'altro, i loro sguardi si illuminarono. Avevano vissuto entrambi una
settimana molto intensa ma erano felici di potersi riposare l’uno negli occhi
dell’altro.
Alla
fine, in un angusto ripostiglio, avevano
scoperto il segreto più grande: per farsi degli amici bisogna trovare il
coraggio di mostrarsi come uno è davvero. Non serve fingere e mettersi sul viso
delle maschere, basta essere se stessi e poi il resto viene da sé. A volte uno
si convince di non valere niente e, quando ciò succede, diventa difficile
cambiare opinione sulla propria persona. Un amico vero ci accetta così come
siamo e sarà attraverso i suoi occhi che impareremo ad amarci un po’ di più. A
volte per imparare a credere in noi stessi abbiamo solo bisogno di qualcuno che
ci faccia da specchio e che ci insegni ad apprezzarci e ad accettarci così come
siamo. A volte basta solo trovare un amico.