mercoledì 6 luglio 2016

Presentazione del libro "La casa tra le nuvole"


INTERVISTA FATTA DA VALENTINA ODDENINO E CRISTIANA PAVESIO





Di cosa parla il tuo libro?
Il libro parla essenzialmente della vita nelle sue più belle e complicate sfumature. Parla di amore, di quegli amori inevitabili che si impongono sfidando lo spazio e il tempo, del matrimonio, delle gioie e delle difficoltà che possono insorgere all’interno di esso, della maternità con le sue luci e le sue ombre.La protagonista del libro è Viola, una donna che cerca, nelle complicate trame della vita, di acquisire una maggiore consapevolezza. Viola è una donna che è alla ricerca della felicità e che ad un certo punto della sua vita si chiede che cosa vuole davvero e che cosa possa renderla felice. È sposata e mamma di un bimbo di due anni e mezzo. È sposata con Fabio.  I due stanno attraversando un momento di crisi e hanno bisogno di ritrovarsi e sperano di riuscire a farlo prendendosi un po’ di giorni di vacanza. Il figlio nato da poco ha smosso il loro equilibrio di coppia, lasciandoli a volte un po’ spossati.  Hanno bisogno di ridefinire il loro stare insieme e di riscoprirsi di nuovo come coppia e non solo come una coppia di genitori. Arrivano all’agriturismo “La casa tra le nuvole” e Viola si accorge che il proprietario è Luca, un uomo che aveva conosciuto tanti anni prima e che non era mai riuscita a dimenticare. Questo fatto le mette ancora più confusione. Diventa inevitabile per lei guardarsi dentro per capire ciò che vuole davvero.



Luca nel tuo libro è un personaggio molto particolare, ce ne vuoi parlare?
Luca è un uomo che non si è mai adattato alle regole della società, è uno spirito libero che cerca di vivere in modo autentico senza lasciarsi condizionare dalle aspettative che gli altri hanno su di lui. È anche un uomo che ha paura di amare, che difficilmente si lascia coinvolgere e che fa di tutto perché questo non succeda. Luca e Viola si erano conosciuti dieci anni prima in un centro diurno. Quasi subito vengono travolti l’uno dall’altra, è come se le loro anime si riconoscessero e in modo inevitabile iniziassero a dialogare tra di loro.
Nel terzo capitolo Viola ci racconta questo incontro:
Avevo conosciuto Luca durante un’esperienza di volontariato in un centro diurno psichiatrico; si occupava di tutte le attività con i cavalli. […] Fin da subito divenne il mio punto di riferimento, grazie a lui anche la realtà del centro mi sembrò un po’ meno difficile. […] Era così facile parlare con lui, sentivo di conoscerlo e non conoscerlo allo stesso tempo e l’ambivalenza che avvertivo mi attirava. […] L’amicizia con Luca crebbe molto con il passare del tempo. Sembrava che mi conoscesse da sempre, nel nostro rapporto c’era una componente emotiva che mi spaventava ma che, allo stesso tempo, mi affascinava. La verità è che mi stavo innamorando di lui.
 Durante le pause tra un lavoro e l’altro trascorrevamo il nostro tempo a parlare.
Un pomeriggio ci sedemmo sulla scaletta davanti alla scuderia e iniziammo a discutere della visione che avevamo del matrimonio.
«Ho trentadue anni e vivo da solo. Nella mia vita, per adesso, non mi sono uniformato a nessun canone. Non sono sposato e non ho neanche una ragazza. Forse penserai che sia matto ma ad un certo punto bisogna rendersi conto che il futuro dell’uomo non è già scritto e di fronte a noi non c’è solo una via possibile ma tante. A volte, bisogna avere il coraggio di andare controcorrente e di spezzare gli schemi che ci sono imposti dal sistema; […] Crescere, per me, significa staccarsi da un modo di pensare incentrato sull’avere e avvicinarsi all’essere: cercare la libertà, l’indipendenza, la ragione critica, rinnovarsi, espandersi, amare, camminare con le proprie gambe. È molto facile restare dove siamo, perché conoscere ciò che abbiamo ci dà sicurezza. L’ignoto è pericoloso, imprevedibile e fa paura. Cerchiamo di scavarci una nicchia in questo mondo sicuro e ci aggrappiamo alle cose che abbiamo come ad una stampella e questo ci dà l’illusione di non potercela fare da soli. La gente teme la libertà; in questi anni ho cercato di affrontare questa paura e mi sono allontanato dalla consuetudine; ho iniziato a difendere il mio spazio cercando di conquistare gradi di libertà sempre maggiori.»
«Questo non ha implicato un po’ di solitudine?»
«Inevitabilmente sì, ma siamo tutti un po’ soli, non credi?»
«Pensando però solo a se stessi a volte si rischia di fare del male seriamente…»
«Anche tenere legato a sé qualcuno che vuole volare via, può far male. Amare per me vuol dire fare un pezzo di strada insieme: io non voglio legare nessuno, e cerco di sciogliere tutti i nodi.»
Queste discussioni ci permettevano di confrontarci sulla vita, e i silenzi che ne seguivano non erano difficili da sostenere, ma carichi di emozioni."
Insomma Luca non era un uomo semplice ma la sua profondità aveva scosso Viola nel profondo e adesso si trovava in un posto al di fuori del mondo, con i due uomini più importanti della sua vita e le sembrava di essere tornata indietro nel tempo. Luca le aveva insegnato a volare, Fabio invece le aveva regalato la certezza di svegliarsi senza essere sola. Di fronte a entrambi, Viola si ritrova a rispondere ad un’unica domanda: si possono amare due uomini nello stesso momento?
In un continuo andirivieni tra tempo reale e tempo della memoria, Viola scoprirà ciò che vuole davvero e prenderà in mano la sua vita, diventando l’unica artefice del proprio destino.

Spesso nel libro ti soffermi a parlare dei cavalli. Da dove nasce questa passione?
In passato ho avuto l’occasione di conoscere da vicino questi animali meravigliosi e non ho mai dimenticato l’emozione che ho provato nell’avvicinarmi a questi esseri immensi e capaci di una dolcezza infinita.
Nel libro parlo molto dei cavalli e delle mille emozioni che si provano nel montarli. Viola inizia ad avere a che fare con i cavalli nella sua esperienza di volontariato. Vi leggo uno stralcio del libro che parla di questa esperienza:
"In quei giorni, il mio rapporto con i cavalli cambiò. All’inizio li guardavo con rispetto e, pur ritenendole delle bellissime creature, ne avevo paura.
Col tempo però mi sentii più tranquilla nello strigliarli, ma, ancora agitata all’idea di doverli montare. Quando Luca, per la prima volta, mi disse di salire in groppa ero terrorizzata, poi però la sua voce sicura riuscì a rasserenarmi. Mi resi conto di quanto potesse essere bello lasciarsi trasportare da quell’animale. Osservare il mondo così dall’alto era come abbracciare in un solo istante la vita intera ed amarla come mai mi era successo prima. Sentivo di essere tornata alla terra, di aver recuperato una sorta di rapporto simbiotico con la natura e di essere a casa dopo anni di vita esule.
Un giorno Luca mi chiese se mi fidavo di lui, ricordo di averlo guardato con un’espressione ingenuamente stupita:
«Certo che mi fido di te! Perché?»
«Vieni…»
Mi prese per mano e mi portò vicino ad Oscar, il cavallo più grande di tutta la scuderia.
Mi sorrise e mi mise la scaletta vicino all'animale che mi aspettava senza sella.
«Sali!»
Lo accontentai e, quando mi chiese di girargli più volte sulla groppa, protestai un po’ ma eseguii ugualmente i movimenti che m'indicava.
«Inginocchiati.»
Ad ogni sua richiesta le mie proteste aumentavano ma alla fine feci sempre quello che mi chiedeva; quando però mi chiese di alzarmi in piedi, ricordo di aver pensato che fosse matto da legare: io non avrei mai fatto una cosa simile! Lo guardai e la sua sicurezza cancellò ogni paura: mi alzai in piedi sul cavallo e guardai il mondo da lassù. Il cavallo avrebbe potuto buttarmi giù da un momento all’altro ma fu in quel momento che mi resi conto quanto fosse preziosa la mia vita, quanto la amassi. Non avevo più niente sotto controllo, ma ero felice.
Forse fu in quel momento che compresi quanto la vita mi potesse stupire, quanta magia ci fosse nell’abbracciare l’imprevisto… potevo solo fidarmi, fare i conti con la mia paura, imparando a conviverci.
Le emozioni provate quel giorno mi cambiarono. La vita aveva ancora un sacco di sorprese per me e capii quanto il futuro potesse essere affascinante se non cercavo di prevedere tutto.
«Alla fine la paura sarà sempre presente, sempre in agguato, però ti colorerà l'esistenza» mi disse Luca, «questa esperienza sarà davvero importante per il tuo futuro e te ne accorgerai quando avrai tempo di elaborare il tutto.»
Capii in quel momento quanto fosse viscerale il mio rapporto con Luca; mi stava mostrando la vita, con tutti i suoi colori e le sue ombre; e forse cominciava ad amarmi.
Si era creata tra noi un’intimità la cui consapevolezza ci ammutoliva: se ci guardavamo negli occhi, sapevamo di essere andati ben oltre un normale rapporto tra colleghi, le nostre anime si erano toccate e avevamo scoperto insieme un nuovo modo di amare."

Più avanti nel libro, Luca spiega che cosa vuol dire fare un’escursione a cavallo; questo è un pezzo che amo molto:
«Che cosa significa per te fare un’escursione a cavallo?»
«Significa dare voce alla mia voglia di libertà, cercare strade nuove e terreni non battuti. Un viaggio a cavallo, in un percorso naturale, è complesso: quando s'inizia un sentiero si può anche decidere di fermarsi a metà o di proseguire anche quando il sentiero è terminato. Quello che davvero conta è che l’escursione coincida con una ricerca interiore, deve essere affrontato in uno stato di meditazione. Dobbiamo diventare dei cacciatori di emozioni, solo così potremo sentire il profumo del larice e avere la sensazione di essere abbracciati dall’universo ricaricandoci di energia. Il tempo libero dovrebbe essere considerato il momento della crescita interiore, non del divertimento. Una persona dovrebbe avere sempre più tempo libero, un tempo lento che dà voce ai sogni.»
Le sue parole si fecero strada in me, scavando profondi sentieri interiori."

Quali sono le parti che ami di più del libro?
Mi piace molto quando Viola parla del suo passato. Viola, mentre si perde tra i ricordi, racconta della sua infanzia, di come ha conosciuto Fabio, del periodo in cui desideravano un figlio che non arrivava, dell’angoscia e dell’ansia rispetto a questo periodo, racconta di quando è nato suo figlio, della fatica e della gioia nell’accudirlo, dell’adolescenza, della sua infanzia.
C’è un pezzo, più meno a metà del libro, in cui Viola parla a Luca dei suoi nonni. Penso che questo pezzo sia quello che rispecchia di più la vita:
"«Quando ero piccola tutte le domeniche pomeriggio andavo con i miei genitori a casa dei miei nonni: prima si faceva una passeggiata e poi si andava a trovarli. Quando arrivavamo si apriva uno scenario sempre uguale: i miei zii erano intorno al tavolo e parlavano a voce alta, mio nonno giocava a carte e quasi non alzava la testa per salutare perché era troppo preso dal gioco, mia nonna ci offriva il caffè.
Il più delle volte non entravamo neanche in cucina ma ci fermavamo nel garage, luogo che per anni è stata la sede provvisoria della cucina: un luogo caldo e raccolto, che profumava di fagioli e frittelle e che sapeva di famiglia. In quella stanza i dialetti si mischiavano: i miei nonni parlavano rigorosamente calabrese, i miei zii un misto di calabrese e piemontese. Si percepiva un forte legame con la terra, era un po’ come un ritorno alle origini. Ogni giorno scoprivo il mondo con occhi nuovi, ma quando tornavo da nonna, entravo in una realtà immobile, prevedibile e che mi faceva sentire al sicuro. Era un po’ come vivere tutti insieme e, in quella piccola stanza, calda e piena di fumo, avvertivo tutta l’importanza del legame di sangue, della famiglia.»
«Ci andavi spesso?»mi chiese Luca.
«Sì, tutte le domeniche. Bisognava andarci anche quando non ne avevo voglia. Magari rimanevo tutto il tempo seduta sul divano ad annoiarmi sperando che arrivasse qualcuno dei miei cugini con cui andare a giocare nel cortile. Vicino ai miei nonni abitava una vecchietta simpaticissima. Aveva i capelli bianchi, dei grandi occhiali sul naso e una schiena un po’ ricurva. La porta del suo cortile veniva lasciata aperta e sullo zerbino c’erano sempre dei gatti che dormivano. Con i miei cugini andavamo a giocare con loro; quando la vecchietta ci vedeva usciva piano, aiutandosi con il bastone; apriva il capanno degli attrezzi e ci dava una borsa piena di palette, secchielli e formine. Era bellissimo giocare sul mucchio di sabbia con tutti quei giochi.
Uno per volta però diventammo grandi e ci staccammo da quella consuetudine infantile. Ero la più piccola e vidi tutti gli altri scegliere altri programmi per la domenica.
All’inizio non capivo: non si poteva smettere di andare dalla nonna. Non era giusto!
Ma un giorno anch’io smisi di andarci con regolarità…»
Luca mi guardò e disse:
«Crescendo rinunciamo ad aspetti della nostra vita che per anni abbiamo considerato parte integrante di noi. È strano come questo a volte succeda senza crearci il minimo malessere interiore. La nostra mente si rivolge semplicemente ad altro, dimenticando quello che è stato. Dopo molti anni arriva la malinconia e ci coglie di sorpresa: solo in quell'istante ci accorgiamo di quello che abbiamo perso.»
«È vero, solo che a volte è troppo tardi per tornare indietro. Infatti con i miei nonni è andata un po' così. Quando mio nonno si ammalò gravemente, tutto cambiò.
«Tuo nonno è stato molto importante per te, vero?»
«Sì, anche se era una persona molto particolare: aveva una scorza durissima intorno, una corazza difficile da scalfire.Le sue mani erano spesso sporche di nero: perché andava a raccogliere le noci nei campi, neanche la candeggina riusciva a portare via quel colore. Erano mani grosse e ruvide, poco avvezze a dare carezze, mani che ti afferravano, mani attente a giocare a scopa, mani che stringevano le mie al momento dei saluti: attraverso loro mi diceva che mi voleva bene e, dopo, i suoi occhi mi scrutavano per capire se avevo sentito le sue parole silenziose. Per molto tempo non ero stata capace di ascoltare quello che mi voleva dire; solo negli ultimi anni lo avevo fatto e da quel momento il nostro rapporto era cresciuto sorretto dal silenzio dei suoi sguardi e dalle sue strette di mano.Era un uomo concreto e chiuso, non faceva niente per farsi capire. Voleva che gli altri lo vedessero duro: in realtà era solo incapace di esprimere quello che provava e si arrabbiava e inveiva contro chi aveva di fronte forse anche per manifestare l’affetto che provava e che non riusciva a dimostrare. Mio nonno arrivava dal sud. Lo si vedeva nei gesti, lo si sentiva nella sua voce, lo si capiva dai cibi che prediligeva. Lui era unito alla terra: la terra coltivata, il legno spaccato, le noci raccolte. La terra parlava di lui: non l’aveva mai abbandonata. Era un uomo forte, quando tagliava i rami degli alberi i muscoli delle sue braccia si gonfiavano, il sudore gli bagnava tutta la schiena; il suo corpo era piccolo ma duro e vigoroso.
Adesso sono passati molti anni. Alcuni ricordi sono svaniti, le domeniche passate con lui mi sembrano molto lontane; a volte però chiudo gli occhi, e vedo le sue mani sporche di nero ed è come ritornare bambina e sentirmi a casa.
Le sue mani erano bellissime…»"

Il libro ha delle parti autobiografiche?
La storia è pura fantasia. L’agriturismo “La casa tra le nuvole” non esiste nella realtà, anche se alcuni mi hanno chiesto dove potevano trovarlo.
Mi piace invece colorare i personaggi con i tratti delle persone che mi stanno vicino e che amo. Ci sono dei personaggi reali all’interno della storia, dei personaggi che sono stati introdotti in una storia di pura fantasia.

Quanto c’hai messo a scriverlo?
Tre anni circa ma alcuni pezzi li ho scritti molti anni prima e poi li ho riadattati nella trama


Perché ad un certo punto della tua vita hai deciso di dedicarti alla scrittura?
Non c’è un momento specifico nella mia vita in cui ho iniziato a scrivere. L’ho sempre fatto. La scrittura è il mezzo comunicativo che preferisco e con il quale riesco ad esprimermi meglio. Scrivere mi rende felice e mi viene naturale come respirare. Ad un certo punto della mia vita gli ho semplicemente dato più spazio. Un po’ come Viola, anch’io io mi sono ritrovata mamma. La maternità è una delle esperienze più belle che una donna possa fare, ma le esigenze di un bimbo piccolo sono tantissime e a volte ci si dimentica di se stessi. Ho iniziato a sentire una forte esigenza di ritagliarmi uno spazio tutto mio e la scrittura ha rappresentato proprio questo. Adesso so che non posso più farne a meno perché mi rende felice e mi fa stare bene.

Hai iniziato a scrivere altri romanzi?
Sì, ho iniziato il mio secondo romanzo. Si intitola “Vento tra i capelli” ed è ambientato in Scozia. Per adesso è solo abbozzato ma ci sto lavorando.

So che scrivi anche delle storie per bambini, quando le potremo leggere?
Con l’associazione Lenci stiamo lavorando proprio a questo. Ci sono diverse storie che ho scritto insieme ai bambini che frequentano il centro d’aggregazione in cui lavoro. Tutti insieme stiamo cercando di dare a queste storie una forma definitiva che possa essere pubblicata. Presto uscirà il primo libro.

Sei una mamma e una donna che lavora, quando trovi il tempo per scrivere?
Mi alzo molto presto al mattino e la prima parte della mattinata è dedicata a questa mia passione. Quello è un tempo solo mio che mi regalo ogni mattina. La mia felicità dipende anche dal fatto di riuscire a mantenere questo impegno con me stessa.

Qual è la tua fonte di ispirazione?
La mia fonte di ispirazione è la vita. Spesso mi guardo intorno e trovo stralci di storie nelle vite degli altri. Uno scrittore deve essere prima di tutto un buon osservatore e deve saper ascoltare. Tutto mi ispira. Mi basta lasciarmi andare e permettere alla vita di fluire tra le parole che scrivo. È un processo che mi viene naturale.

Come sei riuscita a pubblicare il libro?
Prima di tutto ho avuto la fortuna di conoscere la mia editor Rita Cioce che, non solo mi ha introdotta all’interno di questo mondo così particolare, ma mi ha anche spinta a credere nella mia passione. Grazie a lei ho conosciuto Daniel Balzan e Gaetano Virgallito che mi hanno aiutato a realizzare il mio sogno. Il libro è stato autopubblicato sulla piattaforma online di Streetlib e è disponibile sia in formato cartaceo che digitale. Non ho contattato le case editrici perché volevo essere completamente indipendente.

Se uno vuole diventare uno scrittore, secondo te cose deve fare?
Credere nel suo sogno fino in fondo ed essere costante. Scrivere un libro è faticoso e correggerlo ancora di più. Consiglio di cercare dei bravi collaboratori, che siano professionali e che riescano a cogliere il senso profondo del libro che si sta scrivendo. Non bisogna scoraggiarsi e continuare a lavorarci giorno dopo giorno per tutto il tempo necessario. Prendere in mano il libro stampato e vederci sopra il proprio nome è un’emozione unica che ripaga di tutta la fatica.




                                                             

Nessun commento:

Posta un commento