INTERVISTA FATTA
DA VALENTINA ODDENINO E CRISTIANA PAVESIO
Il libro parla essenzialmente della vita nelle sue più belle
e complicate sfumature. Parla di amore, di quegli amori inevitabili che si
impongono sfidando lo spazio e il tempo, del matrimonio, delle gioie e delle
difficoltà che possono insorgere all’interno di esso, della maternità con le
sue luci e le sue ombre.La protagonista del libro è Viola, una donna che
cerca, nelle complicate trame della vita, di acquisire una maggiore
consapevolezza. Viola è una donna che è alla ricerca della felicità e che ad un
certo punto della sua vita si chiede che cosa vuole davvero e che cosa possa
renderla felice. È sposata e mamma di un bimbo di due anni e mezzo. È sposata
con Fabio. I due stanno attraversando un
momento di crisi e hanno bisogno di ritrovarsi e sperano di riuscire a farlo prendendosi
un po’ di giorni di vacanza. Il figlio nato da poco ha smosso il loro
equilibrio di coppia, lasciandoli a volte un po’ spossati. Hanno bisogno di ridefinire il loro stare
insieme e di riscoprirsi di nuovo come coppia e non solo come una coppia di
genitori. Arrivano all’agriturismo “La casa tra le nuvole” e Viola si accorge
che il proprietario è Luca, un uomo che aveva conosciuto tanti anni prima e che
non era mai riuscita a dimenticare. Questo fatto le mette ancora più
confusione. Diventa inevitabile per lei guardarsi dentro per capire ciò che
vuole davvero.
Luca nel tuo libro è un personaggio molto particolare, ce
ne vuoi parlare?
Luca è un uomo che non si è mai adattato alle regole della
società, è uno spirito libero che cerca di vivere in modo autentico senza
lasciarsi condizionare dalle aspettative che gli altri hanno su di lui. È anche
un uomo che ha paura di amare, che difficilmente si lascia coinvolgere e che fa
di tutto perché questo non succeda. Luca e Viola si erano conosciuti dieci anni
prima in un centro diurno. Quasi subito vengono travolti l’uno dall’altra, è
come se le loro anime si riconoscessero e in modo inevitabile iniziassero a
dialogare tra di loro.
Nel terzo capitolo Viola ci racconta questo incontro:
“Avevo conosciuto Luca
durante un’esperienza di volontariato in un centro diurno psichiatrico; si
occupava di tutte le attività con i cavalli. […] Fin da subito divenne il mio
punto di riferimento, grazie a lui anche la realtà del centro mi sembrò un po’
meno difficile. […] Era così facile parlare con lui, sentivo di conoscerlo e non
conoscerlo allo stesso tempo e l’ambivalenza che avvertivo mi attirava.
[…] L’amicizia con Luca crebbe molto con il passare del tempo. Sembrava che mi
conoscesse da sempre, nel nostro rapporto c’era una componente emotiva che mi
spaventava ma che, allo stesso tempo, mi affascinava. La verità è che mi stavo
innamorando di lui.
Un pomeriggio ci
sedemmo sulla scaletta davanti alla scuderia e iniziammo a discutere della
visione che avevamo del matrimonio.
«Ho trentadue anni e vivo
da solo. Nella mia vita, per adesso, non mi sono uniformato a nessun canone.
Non sono sposato e non ho neanche una ragazza. Forse penserai che sia matto ma
ad un certo punto bisogna rendersi conto che il futuro dell’uomo non è già
scritto e di fronte a noi non c’è solo una via possibile ma tante. A volte,
bisogna avere il coraggio di andare controcorrente e di spezzare gli schemi che
ci sono imposti dal sistema; […] Crescere, per me, significa staccarsi da un
modo di pensare incentrato sull’avere e avvicinarsi all’essere: cercare la
libertà, l’indipendenza, la ragione critica, rinnovarsi, espandersi, amare,
camminare con le proprie gambe. È molto
facile restare dove siamo, perché conoscere ciò che abbiamo ci dà sicurezza.
L’ignoto è pericoloso, imprevedibile e fa paura. Cerchiamo di scavarci una
nicchia in questo mondo sicuro e ci aggrappiamo alle cose che abbiamo come ad
una stampella e questo ci dà l’illusione di non potercela fare da soli. La
gente teme la libertà; in questi anni ho cercato di affrontare questa paura e
mi sono allontanato dalla consuetudine; ho iniziato a difendere il mio spazio
cercando di conquistare gradi di libertà sempre maggiori.»
«Questo non ha
implicato un po’ di solitudine?»
«Inevitabilmente sì,
ma siamo tutti un po’ soli, non credi?»
«Pensando però solo a
se stessi a volte si rischia di fare del male seriamente…»
«Anche tenere legato a
sé qualcuno che vuole volare via, può far male. Amare per me vuol dire fare un
pezzo di strada insieme: io non voglio legare nessuno, e cerco di sciogliere
tutti i nodi.»
Queste discussioni ci
permettevano di confrontarci sulla vita, e i silenzi che ne seguivano non erano
difficili da sostenere, ma carichi di emozioni."
Insomma Luca non era un uomo semplice ma la sua profondità
aveva scosso Viola nel profondo e adesso si trovava in un posto al di fuori del
mondo, con i due uomini più importanti della sua vita e le sembrava di essere
tornata indietro nel tempo. Luca le aveva insegnato a volare, Fabio invece le
aveva regalato la certezza di svegliarsi senza essere sola. Di fronte a entrambi, Viola si ritrova a
rispondere ad un’unica domanda: si possono amare due uomini nello stesso
momento?
In un continuo andirivieni tra tempo reale e tempo della
memoria, Viola scoprirà ciò che vuole davvero e prenderà in mano la sua vita,
diventando l’unica artefice del proprio destino.
Spesso nel libro ti soffermi a parlare dei cavalli. Da
dove nasce questa passione?
In passato ho avuto l’occasione di conoscere da vicino
questi animali meravigliosi e non ho mai dimenticato l’emozione che ho provato
nell’avvicinarmi a questi esseri immensi e capaci di una dolcezza infinita.
Nel libro parlo molto dei cavalli e delle mille emozioni che
si provano nel montarli. Viola inizia ad avere a che fare con i cavalli nella
sua esperienza di volontariato. Vi leggo uno stralcio del libro che parla di
questa esperienza:
"In quei giorni, il mio
rapporto con i cavalli cambiò. All’inizio li guardavo con rispetto e, pur
ritenendole delle bellissime creature, ne avevo paura.
Col tempo però mi
sentii più tranquilla nello strigliarli, ma, ancora agitata all’idea di doverli
montare. Quando Luca, per la prima volta, mi disse di salire in groppa ero
terrorizzata, poi però la sua voce sicura riuscì a rasserenarmi. Mi resi conto
di quanto potesse essere bello lasciarsi trasportare da quell’animale.
Osservare il mondo così dall’alto era come abbracciare in un solo istante la
vita intera ed amarla come mai mi era successo prima. Sentivo di essere tornata
alla terra, di aver recuperato una sorta di rapporto simbiotico con la natura e
di essere a casa dopo anni di vita esule.
Un giorno Luca mi
chiese se mi fidavo di lui, ricordo di averlo guardato con un’espressione
ingenuamente stupita:
«Certo che mi fido di
te! Perché?»
«Vieni…»
Mi prese per mano e mi
portò vicino ad Oscar, il cavallo più grande di tutta la scuderia.
Mi sorrise e mi mise
la scaletta vicino all'animale che mi aspettava senza sella.
«Sali!»
Lo accontentai e,
quando mi chiese di girargli più volte sulla groppa, protestai un po’ ma eseguii
ugualmente i movimenti che m'indicava.
«Inginocchiati.»
Ad ogni sua richiesta
le mie proteste aumentavano ma alla fine feci sempre quello che mi chiedeva;
quando però mi chiese di alzarmi in piedi, ricordo di aver pensato che fosse
matto da legare: io non avrei mai fatto una cosa simile! Lo guardai e la sua
sicurezza cancellò ogni paura: mi alzai in piedi sul cavallo e guardai il mondo
da lassù. Il cavallo avrebbe potuto buttarmi giù da un momento all’altro ma fu
in quel momento che mi resi conto quanto fosse preziosa la mia vita, quanto la
amassi. Non avevo più niente sotto controllo, ma ero felice.
Forse fu in quel
momento che compresi quanto la vita mi potesse stupire, quanta magia ci fosse
nell’abbracciare l’imprevisto… potevo solo fidarmi, fare i conti con la mia
paura, imparando a conviverci.
Le emozioni provate
quel giorno mi cambiarono. La vita aveva ancora un sacco di sorprese per me e
capii quanto il futuro potesse essere affascinante se non cercavo di prevedere
tutto.
«Alla fine la paura
sarà sempre presente, sempre in agguato, però ti colorerà l'esistenza» mi disse
Luca, «questa esperienza sarà davvero importante per il tuo futuro e te ne
accorgerai quando avrai tempo di elaborare il tutto.»
Capii in quel momento
quanto fosse viscerale il mio rapporto con Luca; mi stava mostrando la vita,
con tutti i suoi colori e le sue ombre; e forse cominciava ad amarmi.
Si era creata tra noi
un’intimità la cui consapevolezza ci ammutoliva: se ci guardavamo negli occhi,
sapevamo di essere andati ben oltre un normale rapporto tra colleghi, le nostre
anime si erano toccate e avevamo scoperto insieme un nuovo modo di amare."
Più avanti nel libro, Luca spiega che cosa vuol dire fare
un’escursione a cavallo; questo è un pezzo che amo molto:
«Che cosa significa
per te fare un’escursione a cavallo?»
«Significa dare voce
alla mia voglia di libertà, cercare strade nuove e terreni non battuti. Un
viaggio a cavallo, in un percorso naturale, è complesso: quando s'inizia un
sentiero si può anche decidere di fermarsi a metà o di proseguire anche quando
il sentiero è terminato. Quello che davvero conta è che l’escursione coincida
con una ricerca interiore, deve essere affrontato in uno stato di meditazione.
Dobbiamo diventare dei cacciatori di emozioni, solo così potremo sentire il
profumo del larice e avere la sensazione di essere abbracciati dall’universo
ricaricandoci di energia. Il tempo libero dovrebbe essere considerato il
momento della crescita interiore, non del divertimento. Una persona dovrebbe
avere sempre più tempo libero, un tempo lento che dà voce ai sogni.»
Le sue parole si
fecero strada in me, scavando profondi sentieri interiori."
Quali sono le parti che ami di più del libro?
Mi piace molto quando Viola parla del suo passato. Viola,
mentre si perde tra i ricordi, racconta della sua infanzia, di come ha
conosciuto Fabio, del periodo in cui desideravano un figlio che non arrivava,
dell’angoscia e dell’ansia rispetto a questo periodo, racconta di quando è nato
suo figlio, della fatica e della gioia nell’accudirlo, dell’adolescenza, della
sua infanzia.
C’è un pezzo, più meno a metà del libro, in cui Viola parla
a Luca dei suoi nonni. Penso che questo pezzo sia quello che rispecchia di più
la vita:
"«Quando ero piccola
tutte le domeniche pomeriggio andavo con i miei genitori a casa dei miei nonni:
prima si faceva una passeggiata e poi si andava a trovarli. Quando arrivavamo
si apriva uno scenario sempre uguale: i miei zii erano intorno al tavolo e
parlavano a voce alta, mio nonno giocava a carte e quasi non alzava la testa
per salutare perché era troppo preso dal gioco, mia nonna ci offriva il caffè.
Il più delle volte non
entravamo neanche in cucina ma ci fermavamo nel garage, luogo che per anni è
stata la sede provvisoria della cucina: un luogo caldo e raccolto, che profumava
di fagioli e frittelle e che sapeva di famiglia. In quella stanza i dialetti si
mischiavano: i miei nonni parlavano rigorosamente calabrese, i miei zii un
misto di calabrese e piemontese. Si percepiva un forte legame con la terra, era
un po’ come un ritorno alle origini. Ogni giorno scoprivo il mondo con occhi
nuovi, ma quando tornavo da nonna, entravo in una realtà immobile, prevedibile
e che mi faceva sentire al sicuro. Era un po’ come vivere tutti insieme e, in
quella piccola stanza, calda e piena di fumo, avvertivo tutta l’importanza del
legame di sangue, della famiglia.»
«Ci andavi spesso?»mi
chiese Luca.
«Sì, tutte le
domeniche. Bisognava andarci anche quando non ne avevo voglia. Magari rimanevo
tutto il tempo seduta sul divano ad annoiarmi sperando che arrivasse qualcuno
dei miei cugini con cui andare a giocare nel cortile. Vicino ai miei nonni
abitava una vecchietta simpaticissima. Aveva i capelli bianchi, dei grandi
occhiali sul naso e una schiena un po’ ricurva. La porta del suo cortile veniva
lasciata aperta e sullo zerbino c’erano sempre dei gatti che dormivano. Con i
miei cugini andavamo a giocare con loro; quando la vecchietta ci vedeva usciva
piano, aiutandosi con il bastone; apriva il capanno degli attrezzi e ci dava
una borsa piena di palette, secchielli e formine. Era bellissimo giocare sul
mucchio di sabbia con tutti quei giochi.
Uno per volta però
diventammo grandi e ci staccammo da quella consuetudine infantile. Ero la più
piccola e vidi tutti gli altri scegliere altri programmi per la domenica.
All’inizio non capivo:
non si poteva smettere di andare dalla nonna. Non era giusto!
Ma un giorno anch’io
smisi di andarci con regolarità…»
Luca mi guardò e
disse:
«Crescendo rinunciamo
ad aspetti della nostra vita che per anni abbiamo considerato parte integrante
di noi. È strano come questo a volte succeda senza crearci il minimo malessere
interiore. La nostra mente si rivolge semplicemente ad altro, dimenticando
quello che è stato. Dopo molti anni arriva la malinconia e ci coglie di sorpresa:
solo in quell'istante ci accorgiamo di quello che abbiamo perso.»
«È vero, solo che a
volte è troppo tardi per tornare indietro. Infatti con i miei nonni è andata un
po' così. Quando mio nonno si ammalò gravemente, tutto cambiò.
«Tuo nonno è stato molto
importante per te, vero?»
«Sì, anche se era una
persona molto particolare: aveva una scorza durissima intorno, una corazza
difficile da scalfire.Le sue mani erano spesso sporche di nero: perché andava a
raccogliere le noci nei campi, neanche la candeggina riusciva a portare via
quel colore. Erano mani grosse e ruvide, poco avvezze a dare carezze, mani che
ti afferravano, mani attente a giocare a scopa, mani che stringevano le mie al
momento dei saluti: attraverso loro mi diceva che mi voleva bene e, dopo, i
suoi occhi mi scrutavano per capire se avevo sentito le sue parole silenziose.
Per molto tempo non ero stata capace di ascoltare quello che mi voleva dire;
solo negli ultimi anni lo avevo fatto e da quel momento il nostro rapporto era
cresciuto sorretto dal silenzio dei suoi sguardi e dalle sue strette di
mano.Era un uomo concreto e chiuso, non faceva niente per farsi capire. Voleva
che gli altri lo vedessero duro: in realtà era solo incapace di esprimere
quello che provava e si arrabbiava e inveiva contro chi aveva di fronte forse
anche per manifestare l’affetto che provava e che non riusciva a dimostrare. Mio
nonno arrivava dal sud. Lo si vedeva nei gesti, lo si sentiva nella sua voce,
lo si capiva dai cibi che prediligeva. Lui era unito alla terra: la terra
coltivata, il legno spaccato, le noci raccolte. La terra parlava di lui: non
l’aveva mai abbandonata. Era un uomo forte, quando tagliava i rami degli alberi
i muscoli delle sue braccia si gonfiavano, il sudore gli bagnava tutta la
schiena; il suo corpo era piccolo ma duro e vigoroso.
Adesso sono passati
molti anni. Alcuni ricordi sono svaniti, le domeniche passate con lui mi
sembrano molto lontane; a volte però chiudo gli occhi, e vedo le sue mani
sporche di nero ed è come ritornare bambina e sentirmi a casa.
Le sue mani erano
bellissime…»"
Il libro ha delle parti autobiografiche?
La storia è pura fantasia. L’agriturismo “La casa tra le
nuvole” non esiste nella realtà, anche se alcuni mi hanno chiesto dove potevano
trovarlo.
Mi piace invece colorare i personaggi con i tratti delle
persone che mi stanno vicino e che amo. Ci sono dei personaggi reali
all’interno della storia, dei personaggi che sono stati introdotti in una
storia di pura fantasia.
Quanto c’hai messo a scriverlo?
Tre anni circa ma alcuni pezzi li ho scritti molti anni
prima e poi li ho riadattati nella trama
Perché ad un certo punto della tua vita hai deciso di
dedicarti alla scrittura?
Non c’è un momento specifico nella mia vita in cui ho
iniziato a scrivere. L’ho sempre fatto. La scrittura è il mezzo comunicativo
che preferisco e con il quale riesco ad esprimermi meglio. Scrivere mi rende
felice e mi viene naturale come respirare. Ad un certo punto della mia vita gli
ho semplicemente dato più spazio. Un po’ come Viola, anch’io io mi sono
ritrovata mamma. La maternità è una delle esperienze più belle che una donna
possa fare, ma le esigenze di un bimbo piccolo sono tantissime e a volte ci si
dimentica di se stessi. Ho iniziato a sentire una forte esigenza di ritagliarmi
uno spazio tutto mio e la scrittura ha rappresentato proprio questo. Adesso so che
non posso più farne a meno perché mi rende felice e mi fa stare bene.
Hai iniziato a scrivere altri romanzi?
Sì, ho iniziato il mio secondo romanzo. Si intitola “Vento
tra i capelli” ed è ambientato in Scozia. Per adesso è solo abbozzato ma ci sto
lavorando.
So che scrivi anche delle storie per bambini, quando le
potremo leggere?
Con l’associazione Lenci stiamo lavorando proprio a questo.
Ci sono diverse storie che ho scritto insieme ai bambini che frequentano il
centro d’aggregazione in cui lavoro. Tutti insieme stiamo cercando di dare a
queste storie una forma definitiva che possa essere pubblicata. Presto uscirà
il primo libro.
Sei una mamma e una donna che lavora, quando trovi il
tempo per scrivere?
Mi alzo molto presto al mattino e la prima parte della
mattinata è dedicata a questa mia passione. Quello è un tempo solo mio che mi
regalo ogni mattina. La mia felicità dipende anche dal fatto di riuscire a
mantenere questo impegno con me stessa.
Qual è la tua fonte di ispirazione?
La mia fonte di ispirazione è la vita. Spesso mi guardo
intorno e trovo stralci di storie nelle vite degli altri. Uno scrittore deve
essere prima di tutto un buon osservatore e deve saper ascoltare. Tutto mi
ispira. Mi basta lasciarmi andare e permettere alla vita di fluire tra le
parole che scrivo. È un processo che mi viene naturale.
Come sei riuscita a pubblicare il libro?
Prima di tutto ho avuto la fortuna di conoscere la mia
editor Rita Cioce che, non solo mi ha introdotta all’interno di questo mondo
così particolare, ma mi ha anche spinta a credere nella mia passione. Grazie a
lei ho conosciuto Daniel Balzan e Gaetano Virgallito che mi hanno aiutato a
realizzare il mio sogno. Il libro è stato autopubblicato sulla piattaforma
online di Streetlib e è disponibile sia in formato cartaceo che digitale. Non ho
contattato le case editrici perché volevo essere completamente indipendente.
Se uno vuole diventare uno scrittore, secondo te cose
deve fare?
Credere nel suo sogno fino in fondo ed essere costante.
Scrivere un libro è faticoso e correggerlo ancora di più. Consiglio di cercare
dei bravi collaboratori, che siano professionali e che riescano a cogliere il
senso profondo del libro che si sta scrivendo. Non bisogna scoraggiarsi e
continuare a lavorarci giorno dopo giorno per tutto il tempo necessario.
Prendere in mano il libro stampato e vederci sopra il proprio nome è
un’emozione unica che ripaga di tutta la fatica.
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