Era una mattina di fine dicembre quando aprii gli occhi per
la prima volta e mi resi conto di esistere.
Il mondo era ricoperto da un mantello bianco, l’aria era pungente e
fredda, tutto era immobile e silenzioso.
Per un po’ rimasi fermo ad osservare quello che mi
circondava. Solo dopo alcuni minuti trovai il coraggio di compiere i primi
movimenti: prima le dita delle mani, poi le palpebre e infine cercai di
sollevare delicatamente un piede.
In quell’istante la porta della casa si aprì e due bambini
uscirono correndo e le loro risate mi fecero bloccare attonito. Una corrente
d’aria mi travolse facendomi quasi perdere l’equilibrio. Ritornai nella
posizione iniziale e il mio cuore rimbombò nel petto, atterrito.
I bambini iniziarono a corrermi intorno e io fissai un punto
nel vuoto, cercando di non distogliere mai lo sguardo.
«Papà, papà hai visto che bello questo pupazzo di neve?
L’abbiamo fatto ieri sera io e Marco, prima di andare a dormire», disse la
bambina, facendo arrivare il suo fiato caldo troppo vicino al mio braccio.
«Sarà il mio amico per sempre!», disse il bimbo più piccolo
abbracciandomi. Una sensazione di calore mi invase e per un istante mi rilassai.
«È molto bello, ma se farete così si scioglierà ancora
prima!», disse l’uomo.
Quando udii quest’ultima frase mi irrigidii di nuovo.
«È così freddo! Lo chiamerò Ghiacciolo!», disse la bambina.
«Giocheremo sempre insieme, vero Ghiacciolo?», disse il
piccolo guardandomi negli occhi. Io avrei voluto abbassare lo sguardo e
sorridergli ma una paura cieca mi invase e rimasi immobile.
“Forse se non mi muovo
non mi sciolgo”, pensai e quel pensiero si ghiacciò dentro di me e non mi abbandonò
più.
Per tre mattine consecutive quei due bimbi uscirono di casa e
cercarono di giocare con me; io rimasi immobile senza mai distogliere lo
sguardo.
«Uffa! Secondo me questo pupazzo di neve non funziona!»,
disse la bimba la mattina successiva.
«Non si muove mai. Neanche quando gli adulti non guardano»,
aggiunse.
«Forse ha paura», disse il piccolo cercando ancora una volta
di guardarmi negli occhi.
Io sentii in me il forte desiderio di abbassare lo sguardo ma
la mia paura mi bloccò di nuovo.
“Non posso, piccolino.
Non posso”, pensai. Due lacrime iniziarono a pungere agli angoli degli
occhi. Io le ricacciai indietro. Congelandole.
Iniziai ad osservare il mondo fissando a caso un punto
davanti a me. I giorni si ripetevano sempre uguali e dopo un po’ persi
l’interesse per qualsiasi cosa. Mi convinsi che la vita non poteva essere
diversa e continuai a rimanere immobile, congelando tutti i miei pensieri.
Poi un giorno davanti a me comparve un altro pupazzo di neve.
Mi venne a salutare e mi fece l’occhiolino, poi si mise in posa davanti alla
casa di fronte, attendendo che i suoi proprietari andassero a lavorare. Quando
gli adulti se ne andarono, ricominciò a sgranchirsi e a saltellare nel cortile.
«Ciao, io sono Crystal!
Guarda che sono andati via! Puoi muoverti. In casa ci sono solo i
bambini e la mamma, ma lei non uscirà, fa troppo freddo.»
Io non risposi e rimasi immobile.
Crystal stava per rivolgermi un’altra domanda quando tre
bambini si avvicinarono correndo sul vialetto e lo travolsero facendolo
rotolare. Io lo guardai sconvolto, ma subito dopo mi accorsi che stava ridendo
e che non sembrava preoccuparsi del pericolo che aveva appena corso. I bambini
iniziarono a tirargli delle palle di neve e lui si nascose dietro a un tronco
di un albero e, quando i bimbi non stavano guardando, li attaccò con
altrettante munizioni.
Le loro risate rimbalzarono fino a me e io, quasi senza
accorgermene, iniziai a seguire con la coda dell’occhio le loro peripezie. Li
vidi rincorrersi, abbracciarsi e scivolare sul bob; Crystal sembrava instancabile
e non aveva paura di niente.
All’ora di pranzo, i bambini rientrarono in casa e Crystal si
avvicinò di nuovo a me e si coricò stravolto sulla neve.
«Sono stanco morto, sai amico? Perché non sei venuto ad
aiutarmi? Quei due terremoti mi hanno stravolto.»
«Non mi piace correre», dissi.
«Lo immaginavo», disse cominciando ad armeggiare con la neve;
ne mise un po’ in due bicchieri e ci spruzzò sopra del succo di limone.
«Vuoi un po’ di granita al limone?»
«Magari un po’», dissi permettendomi di assaggiarla.
“Non dovrebbe farmi
troppo male”, pensai.
«Mi chiamo Ghiacciolo»
«Io, come ti ho già detto sono Crystal. Piacere di conoscerti»,
mi disse sorridendo.
La mattina successiva furono gli schiamazzi e le risate dei
bambini a svegliarmi: i giochi sulla neve erano ricominciati. Crystal e i
bambini correvano per tutto il vialetto e io mi ritrovai a girare la testa per
seguirli con lo sguardo. Erano esagerati e chiassosi; gli occhi di Crystal
brillavano nella neve e sembrava che si stesse davvero divertendo.
“Ma come fa a non avere
paura di sciogliersi o di rompersi?” pensavo osservandolo.
Intanto non potevo evitare di lasciarmi trascinare dal loro
entusiasmo e le dita dei piedi si muovevano, tastando lentamente il terreno.
«Come fai a non avere paura?», gli chiesi una sera.
Lui mi osservò con i suoi occhi chiari, si sedette su un
muretto e mi disse:
«Paura di cosa?», mi chiese.
«Di scioglierti, di romperti, di farti male», spiegai come se
fosse ovvio.
«Certo che ho paura, ma quando mi diverto me ne dimentico.»
«La mia paura è congelata dentro di me. Non riesco a
dimenticarla.»
Crystal mi fissò per alcuni istanti e poi il suo sguardo vagò
lontano, oltre la siepe del giardino, oltre il profilo delle montagne.
«Per molto tempo anche a me è successo. Poi il mago del
freddo mi ha aiutato e sono cambiato», mi disse.
«Il mago del freddo?»
«Vive al limitare del bosco.»
All’improvviso sentii dentro di me il desiderio di cambiare e
di dire addio a tutte le mie paure.
«Ma potrei andarci anch’io?»
Crystal sorrise e mi fece un cenno di assenso:
«Dovrai camminare però. Non pensare che ti porterò in
braccio», aggiunse facendomi l’occhiolino.
Partimmo il giorno successivo. Ci inoltrammo nel sentiero che
entrava nel bosco e sparimmo all’orizzonte.
Crystal camminava davanti a me e fischiettava sereno ad ogni
passo. Man mano che le case del villaggio sparirono dalla nostra vista, divenne
più silenzioso e il suo sguardo si tinse di tinte brillanti, alla ricerca di
particolari che potessero catturare la sua innata curiosità.
«È il vento che porta l’odore dell’inverno. Io me ne accorgo
quando l’aria diventa pungente e allora so che la neve sta per arrivare di
nuovo», mi disse Crystal.
Io mi chiesi stranito come un pupazzo di neve potesse parlare
delle stagioni, quando per sua natura ne poteva conoscere solo una. In un primo
istante pensai che fosse pazzo ma poi mi resi conto della profondità del suo
sguardo e misi a tacere i miei giudizi per provare a conoscerlo un po’ di più.
Attraversammo un ponticello che passava sopra a un ruscello
ghiacciato e sentii che il freddo mi pizzicava il naso; smisi di pensare per un
po’ alla mia paura di sciogliermi e iniziai ad osservare il bosco lasciandomi
rapire dalla sua bellezza.
Il silenzio era palpabile e veniva interrotto dal ticchettio
dei fiocchi di neve che scendevano sui rami inondandoli di bianco e dagli
scricchiolii lontani emessi dai rami che si flettevano per il peso della troppa
neve. Gli alberi sembravano in attesa e i faggi sfidavano il cielo con i loro
tronchi colonnari. La luce del sole faceva brillare il manto di neve e, in
mezzo al bianco, si illuminava il grigio dei tronchi di larice, il marrone
chiaro della vegetazione, il rosso pungente delle bacche di rosa canina e i
ricami dei licheni che brillavano sulle cortecce degli alberi addormentati.
«Se osservi le tracce sulla neve ti renderai conto che il
bosco è vivo; gli animali tessono ogni giorno delle traiettorie e solo la neve
ne contiene la traccia scritta», mi disse.
Iniziai ad osservare le tracce che mi indicava Crystal e
cominciai ad immaginarmi a chi potessero appartenere. Non lontano da noi vidi
una famiglia di cinghiali che attraversò il sentiero facendo un solco profondo,
una volpe che tuffò il muso nella neve e una coppia di lupi che iniziarono a rincorrersi,
giocando spensierati, con i loro mantelli incrostati di ghiaccio e le loro
zampe che affondavano nella neve. Non lontano da lì, un capriolo si grattò la
schiena lasciando dei segni evidenti sulla corteccia di un albero. Sentii il
tasso che scavava delle profonde gallerie sotto ai miei piedi e il riccio e il
ghiro che dormivano nelle tane, imbottite di foglie secche e di piume. Vidi uno
scoiattolo rintanato nel suo nido e un gufo che si riposava nascosto tra i
rami.
Mi lasciai travolgere da quella bellezza fino a quando Crystal
interruppe i miei pensieri:
«Siamo arrivati. Quella è la casa del mago del freddo», mi
disse sorridendomi.
Cercai di scorgere la casa che Crystal mi indicava. Subito
non la vidi. Mi avvicinai ancora un po’ e scorsi uno sbuffo di fumo nel cielo.
Solo dopo un po’ mi accorsi che la casa era stata costruita alla base di un
tronco secolare e che continuava all’interno dell’albero; sembrava un’appendice
delle radici e si amalgamava con la natura creando un effetto molto
particolare.
“Chissà com’è questo
mago del freddo”, pensai “Magari è un
vecchietto vestito di bianco, con una lunga barba e lo sguardo sereno e
lontano.”
Crystal si avvicinò alla porta d’ingresso incastonata nel
legno e bussò. La porta si aprì all’istante e nell’uscio comparve un omino
basso, con gli occhi sporgenti e il naso adunco. Indossava un grande cappello
blu a punta e i suoi movimenti erano frenetici.
«Noi siamo…»
«Lo so chi siete. Per chi mi avete preso? Per un mago a
metà?»
Io lo guardai con gli occhi stralunati e entrai titubante
nella casa.
«Sedetevi pure. Io devo finire delle cose. Poi vengo da voi.»
Io e Crystal entrammo nell’unica stanza della casa e ci
guardammo intorno alla ricerca di un posto dove sedersi. C’era un grande
tavolone al centro della stanza, molti scaffali alle pareti piene di alambicchi
e contenitori di varia forma e colore, ma nessuna sedia. Crystal non fece caso
alla cosa e si fermò in un angolo, in attesa.
Il mago ritornò nella stanza con una serie di libroni; li
posò con un tonfo sul tavolo e una nuvola di polvere si alzò facendomi sentire
un leggero pizzichino al naso. Cercai di trattenere uno starnuto e mi
stropicciai gli occhi. Il mago aprì un tomo e avvicinò il suo grosso naso per
leggere meglio la formula. Poi impugnò la bacchetta e pronunciò una frase
incomprensibile. Dal nulla comparve un ranocchio pieno di macchie viola e
rosse. Il mago urlò pieno di rabbia, il suo viso divenne spigoloso, gli occhi
divennero cupi e la barba si intrecciò. Delle piccole spire di fumo uscirono
dalla punta del cappello sbuffando. Poi come se niente fosse scoppiò a ridere e
a saltellare sul posto pieno di entusiasmo.
Io guardai sbigottito Crystal ma lui mi fece segno di non
preoccuparmi.
«Quindi tu hai paura di scioglierti e vorresti che io ti
trasformassi in qualcosa che non si può sciogliere.» mi disse avvicinando il
suo naso alla mia faccia.
Io trasalii; non l’avevo visto avvicinarsi e vedermelo
comparire a pochi centimetri dalla faccia mi fece spaventare.
«Sì, ehm sì, lo vorrei tanto», riuscii a balbettare.
«Perfetto allora è deciso. Entra nel mio giardino. Così ti
farai un’idea delle mie trasformazioni. Quando esci ti trasformo.»
Io annuii e guardai Crystal negli occhi chiedendogli di
accompagnarmi.
«Non ci pensare nemmeno. Lui non può venire con te. Devi
andare da solo», mi disse il mago leggendomi nel pensiero.
Crystal mi sorrise e mi fece segno di proseguire:
«Andrà tutto bene», mi disse fiducioso.
Io proseguii nella direzione indicatami dal mago:
«Fai veloce però perché non ho tempo da perdere», mi disse il
mago chiudendo la porta dietro di me.
In un istante mi trovai da solo e un’ansia terribile mi serrò
il cuore. Poi mi guardai intorno e mi rilassai. Di fronte a me c’era un grande
portale di cristallo e io lo varcai trattenendo il fiato. Mi guardai intorno e
ciò che vidi mi travolse per la sua meraviglia. Alberi trasparenti sfidavano il
cielo con le loro altezze e le foglie sembravano accarezzate dal vento.
Uccellini colorati erano stati posati sui rami spogli, un piccolo scoiattolo si
arrampicava sul tronco, gufi maestosi mi spiavano dietro gli aghi di pino,
camosci scappavano e cavalli selvaggi spiccavano il volo, galoppando nel cielo.
Tutto era immobile ma io avevo la sensazione che ogni cosa stesse per correre via.
Continuai a camminare fino a quando arrivai davanti a un
salice piangente. Scorsi una luce dietro le sue fronde e spostai delicatamente
i rami di cristallo per andare a vedere che cosa potesse essere. Sui rami più interni
erano stati attaccati dei cristalli di neve. Avvicinandomi mi accorsi che
brillavano nella parte centrale. Ne sfiorai uno e uno sfarfallio di luce mi
avvolse:
“Ma cos’è stato”,
pensai.
Desideroso di capire, provai di nuovo a sfiorare il cristallo
e nell’attimo stesso in cui provai a toccare il suo cuore di ghiaccio, scoprii
che era liquido e mi sentii risucchiato al suo interno.
Mi ritrovai in una sala esagonale e sulle pareti riconobbi
delle immagini: Crystal che mi faceva l’occhiolino, che mi preparava la granita
al limone, Marco che saltellava intorno a me, che rideva e che mi abbracciava.
Provai a sfiorare quella foto e le immagini cambiarono di colpo: mi vidi mentre
facevo una battaglia di neve con i bambini, mentre li rincorrevo e mentre li
accompagnavo sullo slittino. Poi tutto si fermò immobile e comparve un’unica
immagine ripetuta su ogni parete della stanza: ero io, nel giardino di
cristallo, trasparente come un pezzo di ghiaccio e con gli occhi vitrei e
assenti. Ero bellissimo ma terribile allo stesso tempo. In quell’istante tutto
intorno a me scomparve e io mi ritrovai nel laboratorio del mago.
Il mago mi comparve davanti all’improvviso e avvicinò il suo
naso adunco alla mia faccia per guardarmi dritto negli occhi:
«Dunque ci siamo, mi basta pronunciare una semplice formula e
tu farai parte del mio giardino. Azr froz zum…»
«No!», urlai interrompendolo.
Il mago si allontanò da me, guardandomi stupito:
«Pensavo che tu volessi essere trasformato…»
«Non lo voglio più», dissi con il fiato corto.
«Non lo voglio più», ripetei allontanandomi di un passo.
«Non sono pronto a rinunciare a tutto quanto. Non voglio»,
aggiunsi.
Davanti ai miei occhi il mago iniziò a girare su se stesso e
da quel vortice ne uscì un vecchietto vestito di bianco con lo sguardo profondo
e quieto.
«Sono contento che non ti sia lasciato trasformare. Adesso
siediti e respira. Il peggio è passato», mi disse sorridendomi dolcemente.
Sentii le lacrime arrivare e questa volta non feci niente per
trattenerle. Il mago si sedette accanto mi sedette accanto e mi permise di
piangere.
«Va meglio?», mi chiese quando vide che avevo smesso di
piangere.
«Sì, adesso sì», risposi sorridendo a mia volta.
«Tutti vengono da me pensando che io possa risolvere tutti i
loro problemi e possa scongelare tutte le loro paure. Pur di non dover più
provare paura mi chiedono di trasformarli in ciò che non sono e non si rendono
conto di quello che perderebbero se io lo facessi davvero. Per fortuna poi mi
fermano atterriti come hai fatto tu, nell’istante stesso in cui cerco di
trasformarli.»
«E tutte le sculture che ci sono nel giardino? Quelli non li
hai fermati.»
«Quelli non sono mai stati vivi. Li ho costruiti io con la
mia bacchetta e devo dire che mi sono venuti abbastanza bene», mi disse
scoppiando a ridere.
Crystal si avvicinò e sedette vicino a noi:
«Non potevo dirtelo. Era importante che scoprissi tutto da
solo», mi disse.
Io annuii e lui aggiunse:
«Non avere paura di scioglierti. A me è successo un sacco di
volte, ma non è mai stato così terribile. Quando il freddo non ti tiene più
insieme diventerai una goccia d’acqua e il tuo viaggio continuerà nei ruscelli
che attraversano i boschi e nelle gocce di rugiada che accarezzano i fili
d’erba. I colori dell’arcobaleno si rifletteranno in te e tu ti trasformerai di
nuovo in qualcos’altro, fluendo verso la prossima avventura.»
Ricordi lontani mi sfiorarono e io mi rammentai di altri paesaggi
e di altri soli che mi avevano riscaldato. All’istante tutte le mie paure
scomparvero e lasciarono il posto al desiderio di tuffarmi nella vita, gustando
tutto il suo sapore fino all’ultima goccia.
«Torniamo a casa? Marco mi aspetta», dissi.
Crystal annuì e si alzò fischiettando.
Abbracciai il mago e corsi verso la mia prossima avventura.
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