La sua giornata
lavorativa era molto lunga. Spesso non terminava nemmeno una volta tornata a
casa. C’erano manoscritti che l’attendevano sulla sua scrivania, sul comodino e
addirittura in bagno. Non smetteva mai di lavorare e molto spesso per lei era
un bene. Tenere la mente occupata non le permetteva di pensare. Il silenzio la
spaventava e spesso lo riempiva con parole vuote lette a caso su testi anonimi.
Il lavorio della sua mente non si fermava mai e solo quando crollava esausta
sul divano riusciva a rilassarsi. Da quando Marco se n’era andato non aveva più
dormito nel letto. Il divano, nella sua precarietà, aveva accolto la sua stanchezza
nei giorni subito successivi al divorzio e, forse per abitudine, lei non l’aveva
più abbandonato. Crollava semplicemente per la stanchezza in un indeterminato
momento della notte. Si risvegliava al mattino, avvolta da una coperta di fortuna
che si era ammucchiata inevitabilmente vicino ai suoi piedi. Non appena suonava
la sveglia si alzava di scatto e la giornata ricominciava.

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