mercoledì 17 maggio 2017

IL PAESE DELLE POZZANGHERE #1

VIOLETTA, LA BAMBINA SOTTILE SOTTILE 


C’era una volta una bambina sottile, che camminava nel mondo sfiorando appena la terra che aveva sotto i piedi: si chiamava Violetta. Ad ogni folata di vento doveva aggrapparsi al primo oggetto solido che incontrava per non essere trascinata via. Era talmente sottile che in un giorno di pioggia si sciolse dentro a una pozzanghera e divenne un riflesso.
Per giorni e giorni continuò a piovere e le pozzanghere si accumularono nel terreno creando dei piccoli rivoletti che scorrevano veloci da una all’altra. Violetta venne spinta via e di lei rimase solo il profumo dolce e fruttato.

Non troppo distante da lì, viveva Riccardino, un bambino paffutello sempre in cerca di avventure. Riccardino amava la pioggia, soprattutto quando le gocce finivano sul vetro e creavano dei fiumiciattoli che lui inseguiva con il dito; la cosa però che gli piaceva di più era infilarsi i suoi stivaletti verdi da draghetto e andare a giocare nelle pozzanghere.
«Mamma posso uscire? Non piove più», chiese il bimbo indicando con il dito il sole timido che spuntava dalle nuvole.
La mamma annuì e Riccardino schizzò fuori, felice di avere un intero pomeriggio per giocare all’aria aperta.
«Mettiti l’impermeabile e non ti bagnare troppo!», urlò la mamma dalla cucina senza ottenere risposta dal figlio.
Riccardino saltellò felice fino alla chiesa del villaggio; da lì partiva un sentiero che si inoltrava nei campi fino a raggiungere il bosco in cui era diretto.  Il sentiero era costellato da pozzanghere e il bambino camminava in equilibrio  su una striscia rialzata di erba e respirava a pieni polmoni il profumo di terra bagnata che permeava l’aria di soffici carezze. Ad un certo punto però avvertì un profumo e si fermò immobile cercando di capire da dove provenisse. Sembrava il profumo delle violette che nascevano spontaneamente in primavera e Riccardino rimase ad annusare l’aria:
“Strano! In autunno non ci sono fiori!”, pensò e si sporse a controllare meglio.
In quell’istante scorse un guizzo nella pozzanghera e si fermò basito chiedendosi se quello che aveva visto era reale:
«Ma che cos’è?» si chiese, sporgendosi sulla striscia di terra. All’improvviso perse l’equilibrio e rotolò a terra; sotto di lui si aprì una voragine che lo inghiottì e tutto iniziò a girare vorticosamente su se stesso. Con un tonfo Riccardino cadde a terra e si ritrovò seduto in mezzo al fango. Alzò lo sguardo in alto e si rese conto di essere entrato nella pozzanghera.
«Ma com’è possibile?», si chiese.
«Ti sei fatto male?», chiese una voce sottile sottile.
Riccardino si volto di scatto e vide che una bambina vestita di viola si stava avvinando con passo leggero.  Mentre camminava il suo corpo sfumava in mille sfumature diverse e sembrava fluttuare  come le foglie in autunno che cadono leggiadre a terra. Riccardino si vide riflesso nei suoi occhi e riconobbe quella creatura come simile a sé. La bambina le sorrise e disse:
«Ciao! Io sono Violetta. Benvenuto nel paese delle pozzanghere. Non è così terribile qui sai? Non c’è neanche il vento.»
Riccardino la fissò stranito e annuì poi aggiunse rispondendo a una domanda che non era stata espressa:
«Non so perché sono finito qui. Avevo visto un riflesso nella pozzanghera, mi sono sporto e sono caduto»
Riccardino abbassò lo sguardo imbarazzato e fu in quel momento che si accorse che il suo corpo era una macchia indistinta di colore e che aveva perso solidità. Per un attimo un brivido percorse la sua schiena e i suoi occhi si dilatarono per lo stupore. La bambina si accorse dello sguardo terrorizzato e cinse la mano del bambino nella sua; il suo tocco era delicato come una piuma e riuscì a tranquillizzarlo all’istante.
«Hai voglia di fare una passeggiata?», domandò la bambina con entusiasmo.
Riccardino annuì e la seguì inoltrandosi in una pozza tutta verde.

martedì 16 maggio 2017

VOGLIA DI GIOCARE DA SOLA





Se pensiamo alle grandi domande della vita, ce ne sono alcune che non vogliono proprio andarsene via. Io ne ho una che rimbalza ciclicamente nei miei pensieri e che mi lascia sempre sbigottita: cos’è la scrittura per me? Più di una volta mi sono chiesta che cosa rappresentasse e perché fosse così importante, nonostante tutto. È come un tarlo, un indizio di felicità di cui riesco solo ad intravederne il riflesso, qualcosa a cui non riesco a rinunciare.
Questa domanda mi è ritornata in mente ieri sera mentre tornavo a casa dopo il lavoro. Ero in macchina e sono passata vicino a un parcheggio. Lì c’era un ragazzo che giocava a calcio da solo. Contrariamente da quello che si può pensare, quella non era un’immagine triste e nostalgica. Mi ricordava tanto il gabbiano Jonatan Livinston che cercava di testare i suoi limiti cavalcando le correnti ascensionali. Mi sono riconosciuta in quel ragazzo e ho sentito dentro di me la voglia di scrivere non perché gli altri leggano ciò che scrivo ma per riuscire a scorgermi nell’infinita confusione del mondo senza dover rendere conto a nessuno.
L’anno scorso ho pubblicato il mio primo libro ed è stato un’esperienza fantastica. Per un anno ho messo gran parte delle mie energie nella vendita del libro. Man mano che mi avventuravo in quel mondo sentivo però una pesantezza addosso che a tratti non mi faceva respirare. Cercavo di dare un senso alla scrittura, solo che niente era più naturale tranne l’atto stesso di scrivere, cosa che riuscivo a fare sempre più di rado.
Chissà se quella sana voglia di scrivere si può recuperare, chissà se si può giocare con la scrittura stessa, e fare quel gioco solo per il gusto di farlo? Io ci provo J.