mercoledì 30 marzo 2016

La casa tra le nuvole


«Io penso che le cose non capitino mai per caso.»
«Quindi non è un caso che adesso io e te siamo qui insieme?»
«Forse no…»
Per almeno dieci minuti rimanemmo in silenzio, seduti uno accanto all’altro.

sabato 26 marzo 2016

La casa tra le nuvole

LA CASA TRA LE NUVOLE
-ROMANZO-




"Bisogna rendersi conto che il futuro dell'uomo non è già scritto e di fronte a noi non c'è solo una via possibile ma tante."


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venerdì 25 marzo 2016

Dove vanno a finire i calzini #15

DOVE VANNO A FINIRE I CALZINI #15


RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI

Pinco e Pixi sono due calzini. Trascorrono le loro giornate su uno scaffale girevole in un negozio di abbigliamento. Un giorno vengono accidentalmente divisi. Pinco, con l'aiuto di Drillo, un coccodrillo calzino incontrato nel negozio, si rivolge al saggio Maglius che vive sulla collina degli scaffali. Il saggio gli fa visualizzare il percorso che lo separa da Pixi e i due decidono di seguire il sentiero indicato dal saggio. Devono raggiungere il retrobottega e passare sotto al letto. Drillo, titubante, decide di seguirlo, sperando in cuor suo di poter ritrovare Tigre, la sua compagna di vita. Il mondo sotto al letto è oscuro e terrificante, nido dei terribili Acarix, i mostri della polvere. Ad un certo punto Pinco vede una porticina e spiega a Drillo verso quale direzione devono andare. Attraversano la porticina ma un batuffolo di polvere rimane impigliato nella coda di Drillo. Tra gli strepiti generali del coccodrillo, Pinco si rende conto che è solo un cucciolo e che è innocuo. Avvicinandosi con calma, riesce a conquistare la sua fiducia. Il piccolo dice di chiamarsi Baffy e rivela di essersi perso. Pinco lo prende in braccio e lui si addormenta, sentendosi al sicuro.

EPISODIO 15 - LA FORESTA DI VESTITI -

Mi inoltrai nella foresta di vestiti con Baffy addormentato in braccio. Drillo mi seguì in silenzio. Gli alberi di guanti erano avvinghiati l’uno all'altro e per procedere bisognava aprirsi un varco tra un ramo e un altro. Sciarpe rampicanti si attorcigliavano ai tronchi degli alberi e ai rami, creando un paesaggio surreale. Berretti cespugliosi pieni di spine crescevano sul sentiero o obbligavano i due calzini a lunghe deviazioni.
«Pinco, noi stiamo camminando, ma ce l’abbiamo una direzione? A me questi posti sembrano tutti uguali.»
Mi fermai e osservai il mio amico:
«Finalmente ti degni di parlarmi» dissi scrutandolo in volto.
«Maglius mi ha fatto visualizzare questo posto» aggiunsi «dobbiamo seguire il sentiero lungo il tappeto. La vedi la stradina bianca tra la vegetazione? Ci condurrà fuori dalla foresta. Dobbiamo solo avere pazienza e non perderci d’animo.»
Drillo tranquillizzato mi sorrise e io lo ricambiai. Spostai un ramo e proseguii avanti. Drillo mi seguì, smettendo di lamentarsi.
Dopo due ore arrivammo in una radura e ci accampammo per la notte. Baffy aprì gli occhi non appena cercai di metterlo a terra. All'istante iniziò a piangere:
«Avrà fame» disse Drillo.
«Sì, probabile. Ma cosa magia un Acarix?»
«Non ne ho la più pallida idea.»
Io e Drillo ci guardammo preoccupati senza sapere cosa fare. Il pianto divenne ancora più assordante. All'improvviso, con la coda dell’occhio, scorsi un movimento in un cespuglio vicino. Il mio cuore mi balzò in gola e i miei occhi si dilatarono per la paura: non eravamo soli in quella foresta.


giovedì 24 marzo 2016

Profumo di mare

PROFUMO DI MARE



Aprile è alle porte. Il sole brilla alto nel cielo e fa uno sgambetto all'inverno ormai lontano. La luce si riflette nell'acqua del mare. I gabbiani gridano in cielo e si fermano sugli scogli ad osservare il fondale. Le onde si infrangono sul bagnasciuga, sono schiumose e piene di vigore. I colori sono accesi, l’azzurro del cielo si mischia con il blu del mare, le nuvole bianche colorano l’orizzonte e le vele delle barche si stagliano come macchie di luce. I raggi del sole mi accarezzano lievemente, riscaldandomi. Piano piano i pensieri della mia mente se ne vanno e inizio a rilassarmi, lasciandomi invadere dal profumo di salsedine.
Mi guardo intorno. Il mare d’inverno si è riappropriato della sua spiaggia e l'ha lasciata disponibile a tutti quelli che hanno voglia di giocare con lui. I cani corrono liberi sulla sabbia e si fermano all'improvviso per scavare una buca; i bambini giocano scalzi e con i giubbotti aperti, le persone si sdraiano sugli asciugamani e leggono, lasciandosi guidare dal silenzio perfetto che li circonda.
Un bambino gioca vicino all'acqua. Ad un certo punto si avvicina una bimba con la gonnellina a scacchi e i collant rossi.
«Bimbo, vuoi giocare con me? Guarda cos'ho trovato.» In mano ha una pietra rotonda tutta nera. Il bimbo la guarda, le sorride e la prende per mano. Saltano nella risacca, e si bagnano i vestiti, incuranti di ogni raccomandazione.
«Guarda, adesso fermo il mare.» La bimba si concentra, allunga il braccio e con la mano tesa fa finta di fermare la corsa delle onde. Sembra che per un istante il mare si fermi davvero.
«Tiriamo le pietre in acqua, ok?»
«Ma al mare facciamo male se gli tiriamo le pietre?»
«No, al massimo gli facciamo solletico.» I due bimbi si mettono a ridere e tutti si fermano un attimo a guardarli, rapiti dalla loro bellezza.
Non manca niente a questo istante. È perfetto così com’è.

mercoledì 23 marzo 2016

La pace raccontata ai bambini

LA PACE RACCONTATA AI BAMBINI



Oggi i bambini sono arrivati al centro, si sono seduti per la merenda e subito ci hanno chiesto:
«Avete visto cos'è successo?».
«Ci sono stati tanti morti? Ma perché?».
La mia collega inizia a ripercorrere tutti i fatti successi e io mi soffermo ad osservare gli occhi dei bimbi che si dilatano, cercando di capire.
«Adesso scoppierà la terza guerra mondiale»,ci dice un bimbo come se questo fosse per lui un dato certo.
«Sai che cos'è una guerra mondiale?», gli chiedo.
Il bambino mi fece no con la testa e poi aggiunge:
«No, ma mi fa tanta paura lo stesso».
Fu in quel momento che mi resi conto che troppe volte diamo per scontato che i nostri bimbi siano grandi abbastanza per comprendere le vicende del mondo. In realtà loro assimilano tutto quello che diciamo anche senza comprenderlo. I bambini, oggi più che mai, hanno bisogno di spiegazioni chiare, di persone adulte che si fermino a spiegare quello che non capiscono e che prestino ascolto alle loro domande e alle loro paure nascoste.
«Cosa possiamo fare noi?», mi chiede una bambina con una voce sottile sottile.
«Portare luce nella vostra vita. Il rispetto, la condivisione, l’amicizia, l’accettazione di chi è diverso da noi, l’accoglienza sono le nostre armi migliori. Il terrorismo e la guerra sono il contrario di tutto ciò. Se nel vostro piccolo cercherete la luce, anche il mondo potrà averne dei benefici», le rispondo.
Come si fa a spiegare la guerra e il terrorismo ai bambini? Credo ci sia un unico modo: raccontando loro che cos'è la pace.

Io scelgo di rallentare

IO SCELGO DI RALLENTARE


Da un po’ di giorni mi sento strana, come una foglia sospinta dal vento che sbatte di qua e di là, senza trovare la giusta direzione dove andare. A volte voglio fare troppo e vivo in corsa, dimenticando quali sono le cose che contano.

Credo che sia arrivato il momento di rallentare, di ridefinire le mie priorità. 

Io sono una persona fortunata perché mi trovo esattamente dove vorrei essere. Ho una famiglia bellissima, un lavoro che amo e che ho scelto e riesco a trovare il tempo per leggere e per scrivere. Se dovessi valutare la mia vita in questo momento so che non saprei cos'altro aggiungere.
Il problema è che sono sempre di corsa. Spesso fatico a concentrarmi sul presente e la mia mente si proietta istintivamente  sull'attività successiva, perdendomi il bello di quello che sto facendo. Leggo e penso che dovrei scrivere, scrivo l’articolo per il  giorno successivo e penso che sono in ritardo per condividere quello di oggi, condivido l’articolo del giorno e penso che dovrei già svegliare mio figlio per portarlo all'asilo. Corro sempre ultimamente e, a volte, ho la sensazione di non raggiungermi mai; appena c’è qualcosa che non va secondo i miei piani mi scoraggio e nel badare all'ansia che mi prende, perdo altro tempo.
Bene, è arrivato il momento di rallentare e di rivedere le miei priorità. Se non riesco a fare tutto, devo scoprire ciò a cui non voglio rinunciare. Inizio a togliere da me tutte le distrazioni che invadono la mia mente, lasciandomi spossata: quante copie venderò del mio libro, quante persone riesco a raggiungere con i miei post, quanti sono gli ingressi nel mio blog. Con i numeri non ho mai avuto un bel rapporto. Provo a non prestare loro più attenzione del necessario. Già mi viene da tirare un bel sospiro di sollievo. Io amo scrivere e farò di tutto per diffondere le cose che scrivo, mettendole a disposizione degli altri. Ultimamente però mi sono accorta che sono poche le persone che hanno la costanza di leggere i miei racconti fino alla fine. Tale consapevolezza mi ha un po’ scoraggiata. Ho deciso però di dedicare il tempo che prima utilizzavo per controllare i numeri a migliorare ciò che scrivo, ad informarmi e a cercare ispirazione nella vita. Decisamente questa scelta mi fa stare meglio.
Amo il mio lavoro da educatrice e penso che non potrei mai rinunciare ad esso. Le cose da programmare però sono sempre tante e a volte le preoccupazioni mi portano lontano dai bambini. Per fortuna sono loro a chiedermi attenzioni e a riportarmi sul qui e ora. Lavorare con i bambini è una grande fortuna. Loro hanno la capacità di non farmi pensare ad altro. Per giocare con un bambino devi esserci totalmente e la mente non può essere altrove. Chissà quante volte mi sarei già persa se non avessi loro! Se non riuscirò a programmare tutto nei  minimi dettagli, mi concentrerò su ciò che posso fare, non su ciò che dovrei fare.
Dopo un’intera giornata di lavoro arrivo a casa stanca e provata. A volte non ho più energie e vorrei solo coricarmi sul divano e rilassarmi. Però la sera è l’unico momento in cui posso stare con mio figlio e mio marito. Vorrei poter dare loro di più ma i miei occhi spesso si chiudono. È a causa della consapevolezza di non dare loro abbastanza che l’ansia ritorna a farsi sentire. Credo che il punto cruciale sia proprio questo. Scelgo di rallentare su tutto il resto e lo faccio per loro, per avere ancora delle energie di qualità da dedicare.
Ieri mattina stavo cercando di modificare un’immagine. Il programma di grafica non mi permetteva di ottenere un risultato pulito e mi iniziavo ad irritare perché non riuscivo ad ottenere un risultato accettabile. Mio figlio era seduto vicino a me. Mi ha guardato un po’ e poi mi ha detto: «Mamma se questo ti fa arrabbiare, vieni a giocare con me e lascialo perdere.» Mi sono fermata ad osservarlo e ho capito che, nella sua ingenuità, mi stava insegnando qualcosa di importante.


Quanto tempo perdiamo per cose inutili? Cerchiamo di essere perfetti e intanto la vita ci scorre davanti e noi neanche ce ne accorgiamo. Io scelgo di rallentare e scelgo le persone. Il fondo delle mie energie lo lascio per il resto, non per quello che conta di più di tutto. 

domenica 20 marzo 2016

A caccia di emozioni


A CACCIA DI EMOZIONI




Ogni scrittore trova il suo modo di rapportarsi con un foglio bianco. C’è chi inizia a buttare giù scalette per dare ordine ai propri pensieri, chi si documenta su internet, chi sta fermo immobile a fissare il vuoto e chi si lascia semplicemente andare alla corrente di pensieri e vede cosa ne viene fuori. I miei scritti migliori sono nati proprio quando mi sono arresa a questo flusso.

A volte mi bastano delle semplici parole per aprire porte a mondi sconosciuti, per viaggiare nella mia mente, abbandonandomi al suono melodioso delle parole che mi rimbombano dentro. Un fatto accaduto, una parola detta, una frase letta: tutto può essere fonte di ispirazione. Durante la giornata, i miei recettori sono sempre all’erta, pronti a cogliere ogni suggerimento che la realtà mi offre. Mi piace contaminare i miei scritti con la vita, colorandoli con le emozioni che vivo o che mi sforano.

Mi ritrovo a ripetere dentro di me, più e più volte, la stessa frase fino a quando non mi rendo conto di aver espresso l’idea nel migliore dei modi.

“Se ci mettiamo in ascolto di queste voci, ci accorgiamo che il processo della scrittura non sempre ha fasi divise da solidi steccati, ma qualche volta assomiglia a una corrente cui è utile e piacevole lasciarsi andare. La vera attività iniziale -senza pc e senza penna- è quel continuo parlare con se stessi in cui un'idea si fa strada nella mente, in cui anche una piccola frase viene ripetuta e limata più e più volte con l'ascolto interiore.”
(Cit. Il mestiere di scrivere)

Non so mai dove mi conduca un testo e lo scopro man mano che scrivo. A volte mi sembra di entrare nell’universo parallelo delle possibilità e di scegliere l’alternativa più congeniale che mi permetta di comunicare, nel modo più semplice possibile, il concetto che voglio esprimere.

Per scrivere dobbiamo diventare cacciatori di emozioni, solo così i nostri testi saranno “della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni.” (cit. Shakespeare)

venerdì 18 marzo 2016

Dove vanno a finire i calzini #14

DOVE VANNO A FINIRE I CALZINI



RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI


Pinco e Pixi sono due calzini. Trascorrono le loro giornate su uno scaffale girevole in un negozio di abbigliamento. Dialogano tra loro attraverso il filo di plastica che li unisce. Un giorno la porta del negozio si apre e lo scaffale inizia a girare. Una grande mano afferra i due calzini e li mette in un cestinetto con una gonna viola e una collana di perle. Tutti si mettono a urlare spaventati. Sul nastro trasportatore, Pinco cerca di scappare saltellando giù. Ad un certo punto però la grande mano lo afferra, accidentalmente rompe l'etichetta che lo teneva legato a Pixi e Pinco si ritrova da solo per terra. Pixi viene messa in una borsa e portata via. Pinco si ritrova solo. Ad un certo punto da un buco nel muro sbuca un coccodrillo. Pinco si spaventa, ma poi guardandolo bene si accorge che non era un vero coccodrillo, ma un calzino a forma di coccodrillo. Il nuovo arrivato si presenta: si chiama Drillo e non sembra molto pericoloso. Drillo mette in guardia Pinco del pericolo che stanno correndo: gli Acarix potrebbero catturarli e a quel punto sarebbe la fine; devono assolutamente nascondersi. L'unica soluzione per ritrovare Pixi è scalare le montagne degli scaffali e andare a parlare con il saggio Maglius. I due intraprendono l'impresa e si ritrovano davanti al saggio. Maglius parla nella mente di Pinco il quale visualizza la soluzione e si accinge a metterla in atto. Devono raggiungere il retrobottega e passare sotto al letto. Drillo, titubante, decide di seguirlo lungo il sentiero. Il mondo sotto al letto è oscuro e terrificante. Ad un certo punto Pinco vede una portocina e spiega a Drillo verso quale direzione devono andare.

EPISODIO 14 -BAFFY-




«Drillo, dobbiamo correre in quella direzione. Là in fondo c’è una porticina. Si vede la luce oltre il buco della serratura.»

Il mio amico mi fece un cenno con la testa e mi prese per mano. Iniziammo a correre, cercando di arrivare a quella piccola porta il più velocemente possibile. Il nostro movimento generò un mulinello d’aria e tutta la polvere nell’angolo si spostò all’improvviso e iniziò ad inseguirci.

Spingemmo il battente della porta appena in tempo e capitolammo fuori da quel mondo terribile. Ci ritrovammo su un terreno umidiccio, l’aria era rarefatta e il passaggio era ostruito da abiti che crescevano in ogni direzione, alla ricerca della luce della lampada. Mi girai verso Drillo e lo vidi che boccheggiava e che, con uno sguardo disperato, mi indicava il pavimento. Abbassai lo sguardo e vidi un essere marroncino avvinghiato alla sua coda, i suoi occhi erano stretti come fessure e il suo corpo era formato da tantissimi fili intrecciati l’uno all’altro. Mi resi conto che anche lui era spaventato e mi avvicinai, abbassandomi fino alla sua altezza:

«Ehi, cucciolino, chi sei? Non ti faremo del male.»

Alle mie parole Drillo si riscosse e mi lanciò uno sguardo di fuoco:

«Cucciolino? Cucciolino, chi sei? Non ti faremo del male!» disse gridando «Vuoi togliermi quella cosa schifosa dalla gamba o no? Da che parte stai, calzino?»

«Ma non hai visto che è solo un cucciolo? È tenero, piccolo e spaventato. Non credo che voglia farti del male.»

«È uno degli Acarix, lo vuoi capire? Mi mangerà la coda se non me lo togli» disse piagnucolando.

Io avvicinai la mano al piccolo esserino aggrovigliato e lo appoggiai delicatamente a terra. I suoi occhi divennero più grandi e luminosi. Ci osservammo in silenzio per alcuni istanti. Il mio animo si rasserenò e il mio istinto mi disse che non era pericoloso. Ad un certo punto, vidi Drillo muoversi di scatto e afferrare con una zampa una gruccia di metallo.

«Ti prenderò, brutto essere polveroso!» urlò a gran voce.

Il piccolo scappò via come un fulmine e si nascose dietro un cespuglio di lana.

«Ma cosa fai? Ma ti sei bevuto il cervello? Posa quella gruccia e smettila di fare il fifone. Non vedi che è piccolo e che non ci farà alcun male?»

Drillo abbassò la gruccia e mi voltò le spalle arrabbiato, continuando a borbottare tra sé e sé.

Io mi avvicinai con cautela al cespuglio e cercai un varco tra i fili di lana; ad un certo punto lo scorsi:

«Come ti chiami piccolino?»

Il cucciolo mi squadrò per qualche istante in silenzio e poi con un filo di voce mi disse:

«Mi chiamo Baffy e sono un batuffolo di polvere.»




Gli sorrisi e lui iniziò ad avvicinarsi fiducioso. Lo presi in braccio e lui si accoccolò sul mio petto; io gli accarezzai la testa cercando di rassicurarlo. Dopo pochi istanti si addormentò.

giovedì 17 marzo 2016

Specchiarsi in un libro


SPECCHIARSI IN UN LIBRO





Non vado mai da nessuna parte senza un libro nella borsa, un quaderno e una matita. 
«Non avrai tempo di leggere» mi dice mio marito «che te lo porti a fare?»
«Non si sa mai» gli dico, e alla fine il libro mi serve sempre.

Ogni volta che ho del tempo libero: leggo. Se il tempo non c’è, il più delle volte lo rubo e leggo lo stesso. Leggo ovunque. In macchina, in bagno, sul divano, seduta per terra e coricata nel letto. Spizzico tra le pagine e salto tra i paragrafi. Ci sono giorni in cui amo rileggere un libro gìà letto e giorni in cui cerco quello che vorrei leggere. 

“Odio quelli che vedendomi leggere un libro, dicono: «Ma non l’hai già letto? Perché non ne leggi uno nuovo?» Lo so io perché non ne leggo uno nuovo, tranquillo.” (Cit. Daniel Pennac)

Leggo qualsiasi cosa ma devo essere io a scegliere il libro giusto.

“Un lettore vero è tutt’altro che onnivoro, perché leggere significa scegliere, giudicare, scartare e trovare la propria angolazione da cui osservare e raccontare il mondo.”
Nadia Terranova

Amo passeggiare nelle biblioteche e nelle librerie, prendere i libri in mano, aprirli, accarezzarli, sentire il loro profumo e lasciarmi rapire dalle loro promesse. A volte ho la sensazione che siano i libri a scegliere me, a trovarmi. Bisogna incontrare le storie al momento giusto. Solo così si ritrovano pezzi di noi nelle pagine degli altri.

«Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma. Ci colpiscono degli altri le parole che risuonano in una zona già nostra –che già viviamo- e facendola vibrare ci permettono di cogliere nuovi spunti dentro di noi.»
Cesare Pavese

Leggere serve proprio a questo: a guardarsi allo specchio attraverso angolature differenti e a riscoprirsi interi.

mercoledì 16 marzo 2016

Ad alta voce

AD ALTA VOCE

Non c’è niente di più bello che leggere ad alta voce un libro ad un bambino. Se la storia è entusiasmante, i suoi occhi iniziano a brillare di entusiasmo e si fissano come calamite potenti agli occhi di chi sta leggendo; i suoi sospiri dipendono dalle parole che vengono pronunciate e il tempo si ferma, in attesa che la storia prosegua. È come sedersi insieme su un tappeto magico e volare verso direzioni sconosciute, lasciandosi cullare dal suono delle parole che vengono lette.
Il bambino si affida alla voce e vive le emozioni del testo come se fossero vere; è attento a cogliere pause, intonazioni, accenti e ritmo adottati da chi legge e si lascia trascinare nell’avventura, abbandonandosi totalmente. La lettura ad alta voce diventa un vero e proprio strumento educativo: rinsalda la relazione, permette al bambino di approfondire la sua capacità emotiva ed è un’occasione per dedicarsi l’un l’altro del tempo di qualità e crescere insieme.
“E il  libro diventa l’unico posto nel quale puoi esaminare il più fragile dei pensieri senza romperlo.”
(Cit. Edward P. Morgan)
E si diventa lettori prima ancora di saper leggere e  “ogni libro scelto rappresenta l’inizio di un viaggio dove poter esplorare nuovi mondi e arricchire la propria mente.” (Cit. Emanuela Breda)
Aprite un libro e leggetelo ad un bambino, in un battito di ciglia vi troverete altrove insieme. Sarà come viaggiare stando fermi. Buon viaggio!

martedì 15 marzo 2016

La bellezza del mondo

LA CASA TRA LE NUVOLE
-Romanzo di Laura Moscato-


Il mondo a volte sa essere di una bellezza disarmante: il cielo con le stelle e i pianeti, le gocce di rugiada sull'erba bagnata, il guizzo della fiamma tra i ceppi roventi, un fiore che si schiude al sole, una formica che trasporta una briciola di pane nella sua tana, una mamma che allatta il suo bambino, le onde del mare che si infrangono sulla riva. Tutta questa bellezza è divina. Dio è un’entità a cui tutto appartiene: è vita. Non è rinchiuso in una chiesa ma è tutto quello che ci circonda.

lunedì 14 marzo 2016

Il pianoforte Forte Piano

IL PIANOFORTE FORTE PIANO
-Racconto scritto in collaborazione con Sofia Muraca-



C’era una volta un pianoforte che si chiamava Forte Piano e viveva nell’aula magna di una grande scuola. Desiderava tanto farsi degli amici, ma non sapeva come fare;  ogni volta che qualcuno si avvicinava, lui sentiva una grande emozione scoppiargli nel petto e iniziava a pigiare i suoi tasti con forza per attirare la sua attenzione. Ne usciva una musica stonata ed acuta che faceva scappare lontano la persona che si era avvicinata. Il pianoforte si sentiva tanto solo e iniziava allora a suonare una melodia triste, che aveva un volume talmente basso che nessuno riusciva a sentire. C’erano dei momenti in cui suonava troppo forte e altri in cui suonava troppo piano. Insomma non era mai adeguato alla situazione e si sentiva sempre più solo.
«Non riuscirò mai a farmi degli amici. Non valgo niente. Che cosa serve un pianoforte che non sa suonare? A niente! Ecco a che cosa serve» diceva tra sé e sé.
Il pianoforte Forte Piano divenne sempre più taciturno e alla fine smise di suonare del tutto e si richiuse nel suo silenzio.
Tutti pensavano che il pianoforte fosse rotto e lo spostarono in un ripostiglio e nessuno si ricordò più di lui.
Un giorno entrò nel ripostiglio un bambino e si accucciò ai piedi del pianoforte, nascondendo la sua testa tra le ginocchia. Aveva uno sguardo triste e il pianoforte Forte Piano iniziò ad osservarlo senza dire niente. Ad un certo punto suonò la campanella che indicava la fine dell’intervallo e lui si alzò, si sforzò di sorridere e se ne andò via. Il pianoforte rimase perplesso e nella sua mente si chiese perché quel bambino si era venuto a nascondere in quell’angusto ripostiglio. Il giorno dopo il bambino ritornò e anche quello successivo e quello dopo ancora. Ogni volta che usciva dal ripostiglio si sforzava di sorridere e ogni volta il suo sorriso sembrava sempre più triste.
Un giorno il pianoforte Forte Piano si fece coraggio e iniziò a pigiare sui suoi tasti con delicatezza, facendo attenzione a non spaventarlo. Né uscì una musica lieve e dolce. Il bambino alzò la testa e con gli occhi pieni di lacrime iniziò ad osservare il pianoforte. Con la manica della maglia si asciugò le lacrime e suoi occhi iniziarono a scrutarlo con attenzione.
«Ciao! Ma tu chi sei?» disse il bambino con un filo di voce.
«Ciao! Io sono un pianoforte e mi chiamo Forte Piano. Mi hanno messo qua perché i miei tasti non funzionano bene.»
«Io sono Michael e non penso che tu sia rotto. La musica di prima era bellissima. Forse hai solo bisogno di esercitarti per imparare a suonare.»
Il pianoforte allargò i suoi grandi occhi e sospirò. Avrebbe voluto credere con tutte le sue forze alle parole del bambino, ma ormai si era convinto di non valere niente e cambiare opinione su se stesso era difficile ormai.
«Perché durante l’intervallo ti nascondi qui?» chiese il pianoforte al bambino.
Il bambino tirò su la testa di scatto e osservò il pianoforte con i suoi grandi occhi verdi:
«Qui posso essere triste e non devo fingere. Mi sono trasferito da poco in questa scuola e non ho amici. Mentre ci sono le lezioni è più facile far finta di sorridere, ma durante l’intervallo i professori si  accorgerebbero che sono solo e andrebbero subito a riferirlo a mio padre. Non voglio che si preoccupi per me. Da quando è morta la mamma ha già tanti pensieri. Non voglio dargli anche questo fardello. Allora durante l’intervallo vengo qua e mi nascondo.»
I due rimasero in silenzio, uno di fronte all’altro. Il pianoforte, senza rendersene conto, iniziò a suonare una musica dolce; Michael chiuse gli occhi e iniziò a viaggiare nella sua mente: si vide correre spensierato in un prato, sentì intorno a sé un dolce profumo di camomilla e immaginò di coricarsi nell’erba, inebriato da una sensazione di benessere che invadeva tutti i suoi sensi. Un sorriso involontario colorò il suo volto e il pianoforte lo vide allontanarsi più sereno:
«Domani tornerò a trovarti!»
Il pianoforte annuì e sorrise: forse aveva trovato un amico.
Il bambino ritornò da lui ogni giorno e il suo umore iniziò via via a cambiare. Il pianoforte sentendosi accettato per quello che era, non si preoccupava di quello che poteva suonare. Semplicemente si lasciava andare e osservava il bambino animarsi al suono delle sue note. La musica divenne sempre più allegra e gioiosa e spesso il bambino si alzava felice e iniziava a saltellare per la stanza, seguendo il ritmo delle note.
Il pianoforte Forte Piano non si preoccupò più del volume della sua musica e un giorno accadde che suonò così forte che la musica invase tutti i corridoi della scuola. Bambini e insegnanti si fermarono ad ascoltarla, rapiti dalla sua bellezza.  Il bidello si ricordò del pianoforte che era stato messo nel ripostiglio, si avvicinò alla porta e si rese conto che la musica proveniva proprio da quello strumento; aprì la porta e rimase immobile ad osservare il pianoforte e il bambino che ridevano insieme, totalmente presi dalla loro musica. Tutti gli altri bambini e gli insegnanti si avvicinarono per osservare la scena e rimasero estasiati da quello che sentirono. Quando la musica terminò, un grande applauso scoppiò spontaneo e il pianoforte e il bambino si voltarono di scatto, rendendosi conto che non erano soli. I compagni di Michael si avvicinarono a lui e lo abbracciarono, facendogli i complimenti. Lo trascinarono in cortile e pretesero che giocasse con ognuno di loro. Michael li accontentò tutti e iniziò a correre nel cortile, gioendo nel suo cuore di quella inattesa popolarità. Il bidello riportò il pianoforte di nuovo nell'aula magna e ogni giorno nell'intervallo i bambini lo andavano a trovare, felici di ballare al suono della sua musica.
Trascorse una settimana e Michael iniziò a sentire la mancanza del suo amico Forte Piano. Chiese alla maestra di uscire durante la lezione di matematica e corse da lui, felice di poterlo riabbracciare. Quando i due si ritrovarono uno di fronte all'altro, i loro sguardi si illuminarono. Avevano vissuto entrambi una settimana molto intensa ma erano felici di potersi riposare l’uno negli occhi dell’altro.

Alla fine,  in un angusto ripostiglio, avevano scoperto il segreto più grande: per farsi degli amici bisogna trovare il coraggio di mostrarsi come uno è davvero. Non serve fingere e mettersi sul viso delle maschere, basta essere se stessi e poi il resto viene da sé. A volte uno si convince di non valere niente e, quando ciò succede, diventa difficile cambiare opinione sulla propria persona. Un amico vero ci accetta così come siamo e sarà attraverso i suoi occhi che impareremo ad amarci un po’ di più. A volte per imparare a credere in noi stessi abbiamo solo bisogno di qualcuno che ci faccia da specchio e che ci insegni ad apprezzarci e ad accettarci così come siamo. A volte basta solo trovare un amico.

domenica 13 marzo 2016

Al ritmo del vento


AL RITMO DEL VENTO





Immagina di trovarti su un grande pianoro; le mongolfiere si stanno gonfiando mostrando, al cielo i loro colori bellissimi. Sali su una; il pallone inizia a crescere sempre più, l’aria diventa calda. 

“Tutto ormai è pronto. Le sfavillanti lingue di fuoco prodotte dai bruciatori arroventano l’aria all’interno dell’involucro, in un tripudio di luci e colori che rompono il silenzio e sovrastano i suoni della natura. Il grande vascello del cielo si stacca dal suolo, docile e leggero come una piuma, agile come una farfalla, librandosi silenzioso, trasportato dalla brezza. In pochi secondi il pallone supera le cime degli alberi, le creste delle colline; lo sguardo dei passeggeri a bordo spazia ora su un orizzonte sconfinato. Il paesaggio svela pian piano i suoi angoli più nascosti e insospettati, come dalle pagine di un atlante geografico. Veleggiando sopra montagne e vallate, i colori appaiono ora più intensi, ora stemperati dal dorato diffondersi dei raggi del sole. Si vive in un’atmosfera magica e irreale, in una dimensione onirica, nel concretizzarsi di un sogno fatto chissà quante volte.”
(Cit. Marco Majrani, I palloni volanti)

Ti sembra di galleggiare sospinto dal vento e la sensazione che avverti è di libertà assoluta. Il paesaggio che si apre ai tuoi occhi è bellissimo, ricco di contrasti e osservi con meraviglia le rocce e le valli che cambiano colore a seconda della luce del sole. Il volo è dolce, morbido e costante. Ti senti in pace con l’universo e la gioia e lo stupore si diffondono dentro di te. La mente si svuota al ritmo del vento e ti lasci trasportare via senza porre resistenza.

Si sa dove si parte ma non si sa dove si arriva. Sai che sarà emozionante atterrare in un posto casuale e per una volta gioisci del fatto di non avere più niente sotto controllo.

“E si diventa vento nel vento che c'è, ma non si sente.”
(Cit. Tangalor blog)

sabato 12 marzo 2016

La casa tra le nuvole

LA CASA TRA LE NUVOLE
Romanzo di Laura Moscato





E se vi dicessi che il file per la stampa è pronto? 
Emoticon smile







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venerdì 11 marzo 2016

Dove vanno a finire i calzini #13

DOVE VANNO A FINIRE I CALZINI




RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI

Pinco e Pixi sono due calzini. Trascorrono le loro giornate su uno scaffale girevole in un negozio di abbigliamento. Dialogano tra loro attraverso il filo di plastica che li unisce. Un giorno la porta del negozio si apre e lo scaffale inizia a girare. Una grande mano afferra i due calzini e li mette in un cestinetto con una gonna viola e una collana di perle. Tutti si mettono a urlare spaventati. Sul nastro trasportatore, Pinco cerca di scappare saltellando giù. Ad un certo punto però la grande mano lo afferra, accidentalmente rompe l'etichetta che lo teneva legato a Pixi e Pinco si ritrova da solo per terra. Pixi viene messa in una borsa e portata via. Pinco si ritrova solo. Ad un certo punto da un buco nel muro sbuca un coccodrillo. Pinco si spaventa, ma poi guardandolo bene si accorge che non era un vero coccodrillo, ma un calzino a forma di coccodrillo. Il nuovo arrivato si presenta: si chiama Drillo e non sembra molto pericoloso. Drillo mette in guardia Pinco del pericolo che stanno correndo: gli Acarix potrebbero catturarli e a quel punto sarebbe la fine; devono assolutamente nascondersi. L'unica soluzione per ritrovare Pixi è scalare le montagne degli scaffali e andare a parlare con il saggio Maglius. I due intraprendono l'impresa e si ritrovano davanti al saggio. Maglius parla nella mente di Pinco il quale visualizza la soluzione e si accinge a metterla in atto. Drillo, titubante, decide di seguirlo nel sentiero sotto al letto.

EPISODIO 13
-IL SENTIERO OSCURO-


Il letto comparve di fronte a noi con tutta la sua imponenza. Un piccolo sentiero partiva dal tappeto e si inoltrava sinuoso nel buio. Un brivido mi percorse la schiena e io mi fermai atterrito ad osservare quel buco nero che tutto inghiottiva. Drillo iniziò a tremare e le sue pupille si dilatarono per il terrore.
«Io non so se ce la faccio, Pinco.»
«Anch’io sono terrorizzato, ma non possiamo fermarci qui. Abbiamo qualcuno da ritrovare.»
Drillo mi guardò negli occhi e io vi scorsi un luccichio strano: avevamo uno scopo da perseguire e ciò ci rendeva diversi da tutto quello che eravamo stati prima. Fu in silenzio che decidemmo di allontanarci dal mondo conosciuto; ci inoltrammo sul sentiero, lasciandoci consapevolmente inghiottire dal buio.

giovedì 10 marzo 2016

Il diritto di annoiarsi

IL DIRITTO DI ANNOIARSI



L’altro  giorno al lavoro mi è capitato di fermarmi e di osservare quello che i bambini stavano facendo. L’attività programmata era saltata e loro stavano giocando, gestendosi liberamente il tempo. C’erano bambini coricati per terra che ridevano, una bimba camminava sulle piastrelle blu del pavimento, i suoi occhi brillavano ed era totalmente concentrata nel suo sogno ad occhi aperti:  sembrava un’equilibrista su un filo. C’era chi giocava a un gioco in scatola, chi scriveva il suo diario segreto e chi svolgeva i compiti assegnati per il giorno dopo. Tutti si gestivano liberamente il loro tempo e per combattere la noia davano spazio alla loro fantasia.

I bambini sono sempre incasellati in mille attività che gli adulti hanno scelto per loro. Mi chiedo se questo sia giusto. Credo però che tutti abbiano il diritto di annoiarsi, anche i più piccoli. È proprio quando uno non sa cosa fare che dà sfogo alla sua creatività e crea  scenari fantasiosi che lo fanno  viaggiare lontano senza compiere un passo.

“La società del cento per cento non prevede mai momenti di noia, la società dei consumi propone sempre nuovi rimedi. La noia è una di quelle emozioni che molti genitori tendono a voler evitare ai figli, nella convinzione che sia pericolosa, che il tempo debba essere produttivo, che si debba sempre essere efficienti, anche nel gioco. Eppure la noia è fondamentale per sviluppare una vita interiore, per reimpostare la propria ricerca di scopi, per stimolare l’esplorazione e risvegliare il desiderio. La funzione della noia è di segnalarci che dobbiamo cercare altri stimoli, che abbiamo bisogno di nuovi scopi o di trovare nuovo interesse negli scopi presenti.”
-Michela Fogliani, Alberto Pellai-

“Una certa capacità di sopportare la noia è quindi indispensabile per avere una vita felice, ed è una delle cose che si dovrebbero insegnare ai giovani. Tutti i grandi libri hanno dei capitoli noiosi, e tutte le grandi vite hanno avuto dei periodi non interessanti.”
-Bertrand Russell-

 Che cosa voglio fare? Cosa voglio costruire? Dove voglio andare? Sono domande che uno non dovrebbe mai smettere di farsi.

mercoledì 9 marzo 2016

Bissy il serpente dispettoso

BISSY IL SERPENTE DISPETTOSO




C’era un volta un serpente di nome Bissy che si aggirava per i sentieri di campagna alla ricerca di uova di quaglia, il suo cibo preferito. Un giorno si allontanò dal suo rifugio talmente tanto da non riuscire più a trovare la strada del ritorno. 
Striscia e striscia si ritrovò vicino ad una strada di campagna, che portava in città. Senza pensarci troppo decise di attraversare. Una macchina sfrecciò vicino a lui, la luce dei fari lo accecò e Bissy andò a sbattere contro un lampione. Immediatamente il suo naso si staccò e iniziò a rotolare giù per la discesa. 
Bissy per un po’ lo rincorse ma il naso rimbalzò su un marciapiede e rotolò dentro a un tombino. Si mise a piangere disperato, si sentiva incompleto e una grande sensazione di ansia lo invase. Iniziò a fare dei piccoli sospiri e per alcuni secondi si perse totalmente d’animo. Non era mai stato così triste.  
Facendosi coraggio si inoltrò nel tombino. Si ritrovò in un mondo strano e cupo. Tubature di tutte le dimensioni si rincorrevano e sembravano dei grandi serpenti aggrovigliati. La luce era soffusa e Bissy strisciò nelle fognature fino a quando non trovò un'apertura che dava sull’esterno. Strisciò verso la luce e si ritrovò finalmente all’aria aperta.

Ultimi coriandoli

ULTIMI CORIANDOLI

Raccolgo gli ultimi coriandoli sul pavimento e mi ritrovo a sorridere, pensando al pomeriggio appena trascorso. Alla fine non è stato così male questo carnevale, penso tra me e me.
Costruire il carro e sfilare richiede sempre molta energia. Ogni anno ci ritroviamo a chiederci se ne valga la pena e quale possa essere il senso di questa attività. Le vicissitudini e i problemi da risolvere sono sempre tanti e a volte ci si scoraggia.
Oggi però mi sono fermata un attimo ad osservarci: col carro ci eravamo fermati in una strada secondaria, in attesa che la sfilata potesse continuare. La musica continuava a martellare e tutti erano entusiasti e ballavano incuranti del fatto che non ci fosse nessuno a guardarli. Piccoli e grandi ballavano insieme, sentendosi finalmente un gruppo. Avevamo smesso di prenderci troppo sul serio ed eravamo riusciti a divertirci davvero. Quegli istanti di leggerezza ridavano senso a tutto quanto e valore alla fatica che era stata fatta.
“Fino a quando il nostro cuore sarà al suo posto noi andremo avanti. Se la passione c’è perché fermarsi? Ci sarà probabilmente un punto di rendimento decrescente, un punto in cui la nostra forza inizierà a scemare. Fino ad allora ci limiteremo a tenere il passo, mettere un piede davanti all’altro al meglio delle nostre capacità. Sorridendo per tutto il tempo.” (Cit. Dean Carnazes, atleta statunitense)
Perché ha senso quindi partecipare al carnevale? Perché avvicina le persone di ogni età, fa tornare bambini e insegna a non prendersi troppo sul serio.
A volte è bello lasciarsi andare. Dovremmo darci quest’opportunità più spesso, dovremmo proprio farlo.
“E’ stato alla fine solo un sorriso, ed è costato poco darlo ma, come la luce del mattino, ha dissipato il buio e ha reso la giornata degna di essere vissuta.”(Cit. F. Scott Fitzgerald)

martedì 8 marzo 2016

Stella


LA CASA TRA LE NUVOLE
-Romanzo-



Quel pomeriggio Fabio ed io decidemmo di andare a fare una passeggiata rilassante. Stella venne con noi. Prendemmo il sentiero del bosco e, aprendoci di tanto in tanto un varco tra alberi e cespugli, raggiungemmo la sommità della collina. 
La mia cagnetta adorava passeggiare in mezzo all’erba e non appena vide il prato, iniziò a correre con tutto il fiato che aveva. L’erba era alta e a tratti la nascondeva alla mia vista. Quando non riuscii più a scorgerla, la chiamai a gran voce perché non volevo che si allontanasse; ad un certo punto vidi una palla di pelo correre nella mia direzione, mi abbassai per prenderla in braccio ma all’ultimo momento lei deviò verso destra scodinzolando felice: le piaceva un sacco farmi quello scherzo ed era in grado di correre per ore senza mai stancarsi. La prima volta che entrò nella nostra casa era piccolissima, spaventata e desiderosa di attenzioni. Non fu difficile per lei conquistarsi un posto importante nella nostra famiglia, e il doverci occupare di un esserino così piccolo ci aveva permesso di vivere dei momenti di serenità, facendoci dimenticare per un po’ le nostre preoccupazioni. Stella era un cucciolo, aveva perso la mamma e non sapeva se poteva fidarsi di noi e della nuova casa in cui era finita. Fabio stava cercando di terminare di montare il recinto in cui avevamo deciso di farla dormire e quindi toccava a me badare a lei.
Fino a quella mattina Stella non era mai stata lontana dai suoi fratellini e cercava di protestare con tutta se stessa guaendo disperata. La presi in braccio e si calmò quasi all’istante; dopo una buona mezz’ora di coccole, si era quasi addormentata e, avvertendo un certo torpore al braccio, decisi di rimetterla nella sua cesta, ma non appena l'allontanai dal calore del mio corpo, aprì gli occhi e ricominciò a piangere cercando di arrampicarsi sulle mie gambe.
“Perché mi hai messo giù –sembrava dire– io qui non ci voglio stare, tu sei la mia nuova mamma e voglio che mi prenda in braccio.”
Rifeci la stessa cosa per almeno due volte poi la posai lo stesso nella cesta. Stella si spaventò tanto che decise di infilarsi offesa sotto il divano andando a nascondersi nell’angolo più difficile da raggiungere. Mi coricai sul tappeto e, allungando il braccio sotto il divano, cercai di prenderla ma riuscii solo a sfiorarle una zampina. Non volevo che restasse lì sotto e cercai di fare di tutto per farla uscire: le riempii la ciotola di crocchette sperando che il cibo la convincesse ma non fu così, la chiamai più volte e feci anche finta di abbaiare ma non ottenni l’effetto sperato. Decisi di alzarmi dal tappeto e tutta impolverata mi girai verso le scale; sul primo gradino c’era Fabio che mi osservava con il sorriso stampato in faccia.
«Volevo vedere che cosa t'inventavi ancora per farla uscire, iniziava a diventare davvero divertente!»
«Ah ah! Fammi vedere quello che sai fare invece di stare lì impalato a ridere!»
Fabio andò in cucina, prese una forchetta, iniziò a battere sulla ciotola e Stella uscì di corsa da sotto il divano tuffandosi in direzione del cibo.
«Non ci posso credere…»
«Se avevi bisogno di aiuto, potevi chiamarmi!»
«Scemo! Vieni qua a darmi un bacio se non vuoi finire al posto di Stella.»
Mi accontentò all’istante, avvolgendomi in un abbraccio e mordendomi un orecchio.
«Adesso che hai capito cosa devi fare io posso tornare su!»
«Sì certo, non ci saranno più problemi capo!»
In realtà mi sbagliavo di grosso ma non lo potevo ancora sapere. Mentre Stella mangiava le sue crocchette, decisi di costruire un recinto d’occasione intorno alla sua cesta. Andai in cameretta e presi tutte le borse e gli zainetti che riuscii a trovare e iniziai a costruire un bel cerchio intorno al suo cuscino. Presi Stella in braccio e la infilai all’interno del recinto dicendole: “Adesso, tesoro, tu stai qui tranquilla e ti fai una bella dormita, io vado in cucina a preparare il pranzo ma tu puoi stare serena perché sei al sicuro e non ti succederà nulla.” Non appena feci un passo verso la cucina, Stella iniziò a piangere, sembrava volermi dire che ero una mamma snaturata e che quella che aveva prima non l’aveva mai chiusa in un recinto fatto con gli zaini. Cercai nuovamente di tranquillizzarla ma non vedendo miglioramenti, decisi di allontanarmi comunque, fiduciosa nel fatto che dopo un po’ si sarebbe stancata di piangere e si sarebbe addormentata. In realtà le sue forze furono maggiori del previsto e, non appena si accorse che non sarei andata a salvarla, decise di trovare da sola una via d’uscita. Con le zampine iniziò a scavare un’apertura fra gli zaini e non si fermò fino a quando non riuscì a sgusciare via, andando a nascondersi di nuovo sotto il divano.
Sconsolata provai a costruire un recinto un po’ più solido. Presi dal ripostiglio il frigorifero da campeggio, la scatola dell’olio e alcune confezioni d’acqua che di sicuro non sarebbe riuscita a spostare. Preparai il tutto e feci due passi indietro per osservare la mia intera opera: sembrava un salotto di accampati ma di sicuro sarebbe servito allo scopo.  Andai a prendere la forchetta e cominciai a sbatterla ripetutamente sulla ciotola ma Stella non aveva nessuna intenzione di uscire. Mi coricai di nuovo sul tappeto e, allungandomi fino a procurarmi uno stiramento alla spalla, riuscii a farla uscire e la misi nel suo nuovo recinto. Lei iniziò a piangere e a disperarsi cercando un varco tra una bottiglia d’acqua e l’altra. Vedendola troppo spaventata, decisi di entrare anch’io nel recinto, mi sedetti a gambe incrociate sul pavimento e lei mi si accucciò in braccio.

Mezz’ora dopo, quando Fabio scese dalla soffitta per chiedermi se fosse pronto il pranzo, ci trovò tutte e due addormentate nel recinto di zaini, bottiglie d’acqua e frigoriferi portatili. Mi prende ancora in giro per questo!